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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Dall'ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002)

 

La vittima in un primo momento non ha avvertito la polizia e non ha denunciato l'accaduto, per paura di reazioni negative sul lavoro. Poi, spinto da alcuni amici, nei giorni successivi ha fatto la denuncia.

Qualche settimana più tardi il caso è finito su tutti i giornali per l'iniziativa di Massimo Consoli, da molti anni attivista del movimento gay, che, a conoscenza dell'accaduto perché amico dell'aggredito, ha distribuito nei luoghi di prostituzione centinai di volantini con l'identikit del pericoloso killer e ha avvertito i quotidiani. Secondo Consoli l'iniziativa si era resa necessaria per l'immobilismo della polizia ("La gente mi diceva che Marian continuava a girare indisturbato nei soliti luoghi di prostituzione", ci ha dichiarato). Secondo la polizia gli investigatori erano già sulle sue tracce, ma il rumeno è riuscito a fuggire anche a causa dell'iniziativa estemporanea del volantinaggio, che ha messo in allarme il ricercato.

La vittima è un signore di mezza età, che lavora a Roma da 20 anni, abita in una zona centrale e, secondo una intervista uscita in quei giorni, aveva incontrato il suo aggressore a piazza della Repubblica, zona di marchette. "Mi ha fatto una buona impressione, anche altri lo conoscevano e così l'ho portato a casa mia". Poi a casa è scoppiata la violenza omicida. "Mi ha torturato dall'una alle cinque di mattina", continua l'intervistato, "dopo avermi legato mi ha preso a calci e a pugni. Mi ha minacciato e ferito sul collo con un coltello. Cercava la cassaforte, più io gli dicevo che non c'era e più lui non mi credeva e mi picchiava... Continuava ad urlare e intanto rubava tutto... Ero senza forze, stavo per svenire... Alla fine ha strappato un filo elettrico dal muro e mi è venuto contro tenendo i due estremi: voleva fulminarmi, uccidermi così, ma c'è stato un contatto e, bum, è saltata la luce. Lui è sceso nell'androne per riaccendere la luce e io, strisciando fino all'ingresso, sono riuscito a chiudere la porta blindata".

Anche noi abbiamo intervistato il malcapitato, che ha voluto rimanere anonimo, e ci ha raccontato la sua drammatica versione dei fatti: "Ho avuto molte interviste e sono state inventate molte cose. Il ragazzo mi era stato presentato da un amico, non è stato raccolto per strada, perché io non amo il rischio. Anche il mio amico è rimasto sorpreso da quello che poi è successo... Evidentemente non siamo mai abbastanza prudenti. Il ragazzo aveva bisogno di soldi, io gli chiedevo dei massaggi, era la terza volta che lo incontravo. Ma a me non interessava sessualmente, non era il mio tipo, infatti non c'è stato del sesso fra noi. Quella sera quando stava per andarsene improvvisamente mi ha aggredito, aveva trovato una corda nel bagno e mi ha preso al collo da dietro. C'è stata molta violenza, minacce, botte, mi ha colpito sulla schiena con calci… Mi chiedeva soldi, contanti, ma io non tengo denaro in casa. È durata da mezzanotte fino alle 6 e mezza di mattina. Quando se n'è andato doveva essere convinto che io fossi morto. Una vera tortura, con un coltello, con tentativi di strozzarmi con il filo della corrente elettrica... Poi c'è stato il corto circuito e lui continuava con la luce delle candele. E intanto rubava tutto quello che poteva: videoregistratore, macchina fotografica, tastiera video, un po' di soldi… In tutto 8 milioni di valori. Alla fine è uscito di casa, io rotolando per terra sono arrivato fino alla porta d'ingresso, avevo le mani legate dietro la schiena, i piedi legati, e sono riuscito a chiudere spingendo col naso. Finalmente ero al sicuro, anche se ancora temevo che potesse tornare indietro e sfondare la porta. Venti minuti dopo sono riuscito a liberarmi dalle corde. Il ragazzo quella mattina è tornato a casa del mio amico da cui era ospite, vicino a Piazza di Spagna, ma a casa non c'era nessuno. Dopo è scomparso".

Questo il racconto di quella brutta notte. Abbiamo chiesto all'aggredito perché aveva cercato di legarsi a un tipo come "Marian", che era evidentemente un prostituto, se ancora frequenta prostituti, quali consigli darebbe agli altri gay per non cadere in trappole simili…

"In genere io non cerco il sesso da solo", spiega, "ma ho interesse per un rapporto. Lui aveva bisogno, era simpatico e gli ho dato un po' di soldi... lo sono disposto ad aiutare un ragazzo, ma deve essere gay, altrimenti ci vedono solo come persone da sfruttare: in quel caso il ragazzo non era gay e non mi interessava molto, voleva solo soldi. Comunque penso a quello che mi è successo come a un incidente di percorso, sono sempre aperto a incontri e conoscenze, anche se non vado a cercare in posti all'aperto che sono pericolosi. Non ho mai frequentato piazza della Repubblica o piazza dei Cinquecento e non vado nei locali gay. Sono andato qualche volta a ballare all'Alibi, anni fa, ma non è il posto che va bene per me. Preferisco incontrare un ragazzo casualmente in un pub, un giovane con una vita sociale normale. Il mio consiglio? Evitate le zone dove battono le marchette, c'è troppa violenza, qui non esistono le case d'incontro con prostituti come ad Amsterdam, che sono molto sicure e tranquille. Io mi sono salvato, ma sono consapevole di avere rischiato. Penso che questi ragazzi prendono di mira i gay perché sono gli unici ben disposti verso di loro, non credo che ci siano molte altre persone che vogliono essere loro amiche".

Gli abbiamo chiesto perché nasconde così gelosamente la sua identità, se i suoi amici sanno che lui è gay, come si comporta sul lavoro, com'è stata l'esperienza del processo…

"Naturalmente i miei amici sanno che sono gay, e io non ho nascosto quello che mi è accaduto a quelli che avevano capito", continua il cittadino olandese, "anche se ho preferito non raccontare e andare avanti. Al lavoro sanno che sono gay, ma cerco prima di tutto di fare la mia professione. La mattina dell'incidente io sono andato a lavorare ugualmente, non potevo perdere gli appuntamenti presi, lavoro come libero professionista. Non sono neppure andato all'ospedale a medicarmi, tanto che successivamente, quando sono stato interrogato, la polizia mostrava di non poter credere al mio racconto. Al processo (che si è svolto in contumacia, N.d.A.) sia il PM. che il giudice sono stati molto corretti, non mi hanno fatto domande imbarazzanti. Non mi hanno chiesto se sono gay, ma solo se avevo avuto rapporti con il ragazzo. Non so esattamente a quanto è stato condannato, non ricordo...".

Le parole (e il non detto) di questo signore danno il segno delle molte e complesse contraddizioni che operano non solo nella situazione appena raccontata, ma probabilmente nella gran parte degli omicidi avvenuti. Nonostante la drammaticità dell'accaduto, e il rispetto che dobbiamo alla vittima, alcune considerazioni sono forse inevitabili. Ci pare, ad esempio, che l'aggredito non riesca a ritenere davvero colpevole il giovane rumeno: non lo definisce mai prostituto, nonostante vivesse mantenuto in casa di un amico gay e lui stesso lo avesse pagato; non lo indica come quella persona in carne ed ossa che gli ha fatto del male, ma si limita a chiamarlo "il ragazzo", quasi lui fosse un padre indulgente e bonario. La cruda realtà viene mistificata dicendo: non vado a prostituti, ma cerco amici che sono disposto ad aiutare economicamente. Il gentile signore olandese vorrebbe una relazione con un altro gay, ma non lo cerca tra i gay, cerca l'amore "casualmente in un pub" frequentato da giovani con "una vita sociale normale" (sottintendendo che i gay non sono normali e comunque non lo interessano). Ecco il solito vecchio senso di colpa che molti omosessuali si trascinano dietro senza avvedersene, e grazie al quale non riescono ad amare se stessi e quindi neppure i propri simili, cioè gli altri gay.

(…) Il nostro anonimo interlocutore mostra di essere consapevole del rischio corso, ma più del marchio bruciante del dolore fisico e dell'umiliazione morale subita, hanno prevalso la paura di perdere una buona reputazione e la paura del giudizio degli altri. Essere scoperto gay nella circostanza peggiore (massacrato da un "ragazzo di vita" a cui si è dato danaro per mendicare qualche carezza "colpevole") significherebbe per molti il crollo della propria immagine sociale, costruita faticosamente, e la caduta della propria identità.

 

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