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Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
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Dall'ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002)
Nel dicembre del 1994 F. C., attore, allora 52enne, ha subito un'aggressione-tortura. Il suo aguzzino lo aveva ridotto male, filo elettrico intorno al collo e straccio in bocca, legato, ferite da coltello, fratture, e passò 40 giorni in ospedale. Si salvò grazie all'intervento di una vicina di casa e all'arrivo della polizia. Fu arrestato un manovale rumeno 22enne, denunciato per sequestro e lesioni, poi condannato a 3 anni e 6 mesi, infine scarcerato ed espulso dal territorio nazionale. La vicina di casa ci ha raccontato come andò. Ida chiamò la polizia sentendo rumori, botte e grida; quando la polizia entrò nell'appartamento il giovane era ancora lì che rovistava nei cassetti e la prima cosa che disse fu: "Io no frocio, io no frocio!". Ida ha testimoniato al processo ed è rimasta stupita dal viso angelico e dall'espressione dolce del ragazzo, in contrasto con la violenza di cui era stato capace. "Dopo che è tornato dall'ospedale G. ha ricominciato immediatamente a portarsi in casa giovani, in particolare un gruppo di polacchi, anche 4-5 insieme. Lui spesso fa vivere diversi giovani nella sua casa, forse degli operai, quasi sempre immigrati dell'est europeo, si assenta anche per dei mesi e gli lascia l'appartamento. Io ho sempre avuto problemi con lui, si è sempre portato gente a casa facendo baccano, e non era la prima volta che si sentivano litigi, grida e botte". Al processo C. ha sostenuto di essere stato aggredito subito dal giovane, appena questi era arrivato in casa, ma Ida chiarì che invece i due si trovavano nell'appartamento da un po' di tempo, e che il proprietario gli aveva preparato e offerto da mangiare. Rintracciata al telefono, la vittima dell'aggressione ha risposto a malincuore a qualche nostra domanda. Inizialmente ha smentito che l'incontro col giovane rumeno fosse legato a un rapporto omosessuale, addirittura sostenendo che si è trattato di una spiegazione messa fuori dalla polizia, ma inventata. "Il giovane ha suonato alla porta, io l'ho fatto entrare e subito mi ha aggredito fino a immobilizzarmi e a legarmi col filo elettrico, imbavagliandomi con un asciugamano. Mi ha salvato una cara vicina insospettita dai rumori, visto che la mia casa era sempre tranquillissima...". Poi si è lasciato un po' andare, ha ammesso indirettamente di essere gay, sostenendo anche di essere stato amico di Pasolini che aveva un pied-à-terre nel suo stesso palazzo, e di aver conosciuto Dante Cappelletti (morto assassinato il 17 ottobre 1996). C. ha mostrato molto risentimento nei confronti della polizia. Non è sembrato consapevole del grave rischio corso, lamentandosi solo per i danni fisici e l'ospedale. Non ha pronunciato una sola parola critica nei confronti dell'aggressore. Però si è lasciato sfuggire che adesso ha una pistola. La reazione di questo signore può effettivamente apparire come paradossale, poiché ci si aspetterebbe un'analisi più lucida dell'accaduto, con il riconoscimento che la propria condotta nella ricerca di partner è stata perlomeno incauta, la consapevolezza del rischio di morte a cui si è esposto, e l'oggettivazione e il rifiuto del comportamento criminale dell'aggressore. Niente di tutto questo ci comunica invece il malcapitato, fermo nelle sue convinzioni circa la cattiveria del mondo (la polizia), la necessità di non fidarsi di nessuno (neanche del giornalista gay che indaga sugli omicidi "dalla parte delle vittime"), l'ovvietà di non dichiarare mai la propria omosessualità. Molti gay e lesbiche assorbono dall'ambiente esterno il pregiudizio omofobo e fanno proprio il senso di colpa per essere omosessuali. Tanto è radicato questo giudizio negativo di sé, che alcuni cercano una punizione e, in genere in modo non consapevole, vanno alla ricerca di un carnefice che dia loro quella lezione che, follemente, credono di meritare. |
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