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Aggiornato
Domenica 25-Set-2011
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“Gay.it”, 19 Aprile 2005
Due pregiudicati siciliani, A. A. di 62 anni e G. G. di 37, da tempo residenti a Firenze, avrebbero adescato omosessuali non dichiarati e poi li avrebbero ricattati, chiedendo anche somme ingenti, in cambio del loro silenzio. Questa mattina sono stati arrestati dagli agenti della squadra mobile di Firenze, con l'accusa di estorsione. I due sono indagati anche per usura perchè sospettati di aver utilizzato le somme ottenute dalle estorsioni per prestiti a strozzo. Oltre alle due ordinanze di custodia cautelare, chieste dal pm Ferdinando Prodomo e emesse dal gip di Firenze Anna Favi, la polizia ha compiuto anche dieci perquisizioni, negli appartamenti dei due arrestati e di altre persone sospettate di essere coinvolte nel giro di usura. Le indagini erano cominciate la scorsa estate, in seguito alla denuncia presentata alla polizia dal padre di una delle vittime delle estorsioni. Il figlio era scappato da casa lasciando un biglietto in cui raccontava che gli estorsori gli avevano preso circa 50 mila euro. Recentemente un altro gay ha raccontato agli inquirenti che i due arrestati gli avevano chiesto 700 euro per non rivelare le sue esperienze sessuali. |
Chiesti
anche 50mila euro
I due complici arrestati e accusati di estorsione e usura
Di Mi. Bo. - “La Repubblica”, 20 Aprile 2005
L’omosessualità rivelata a parenti e colleghi. L’idea
che tutti sapessero delle notti trascorse in viale Paoli, alla ricerca
di incontri occasionali con altri uomini, li terrorizzava, spingendoli
a pagare. Un quarantenne nei mesi ha svuotato il conto in banca da 50
mila euro per impedire che certe foto finissero ai suoi conoscenti.
Quei soldi sarebbero finiti nelle tasche di due uomini residenti a Firenze
e originari della Sicilia, Antonino Vincenzo Aloi di 62 anni e Giuseppe
Graffeo di 37, che ieri mattina sono stati arrestati dalla squadra mobile,
che ha anche effettuato una decina di perquisizioni. L’inchiesta,
coordinata dal pm Fernando Prodomo, ipotizza i reati di estorsione e
di usura perché si sospetta che i soldi delle vittime fossero
utilizzati per attività di strozzinaggio. |
25 Settembre 2011
I giornalisti? Una manica di buffoni - pericolosi. Di vero, in questi due squallidissimi articoli, c’è poco o nulla. Come faccio ad affermarlo? Semplice: mi ha contattata la figlia di Antonino Vincenzo Aloi e, documenti/carte processuali alla mano, ho potuto ricostruire l’intera vicenda la quale, se non fosse drammaticamente vera, potrebbe perfino far sorridere. Ecco come in realtà si sono svolti i fatti... Tutto comincia nel 2002, quando Antonino Vincenzo Aloi è ingaggiato per ristrutturare un appartamento che, nelle intenzioni di Giuseppe Graffeo e del suo socio (per comodità lo chiameremo Luigi), sarebbe dovuto diventare un B&B. Ben presto, i due non si dimostrano buoni pagatori - tutt’altro. Ma quando Aloi si rende conto di aver trovato la peggior committenza che poteva capitargli, è tardi. Per eseguire i lavori si è personalmente indebitato (126.000 euro), quindi tenta con ogni mezzo (rivolgendosi ad un avvocato ed anche alzando la voce) di farsi pagare. Il tira e molla (tra appuntamenti saltati, miseri acconti, cambiali e assegni scoperti), va avanti per ben due anni. Messo alle strette, Graffeo fissa un incontro con Aloi e Luigi promette che in quell’occasione salderà il debito, ma poiché i suoi familiari non lo aiutano ad ottenere il prestito necessario (50.000 euro), decide di levarsi d’impaccio fuggendo dalle proprie responsabilità. Forse per giustificare le insistenti richieste di denaro e muovere a compassione, scrive una lettera confessando di essere, in quanto omosessuale, vittima di un ricatto, poi fa perdere le sue tracce. La famiglia ne denuncia la scomparsa, partono le indagini. I telefoni sono messi sotto controllo - gli inquirenti intercettano le minacce di Aloi e le richieste di Graffeo. Il 24 Maggio del 2004, Aloi si presenta all’appuntamento sperando di riscuotere e finalmente chiudere la faccenda, invece, poco dopo, arriva la polizia che gli contesta il reato di estorsione ed usura. Quando la macchina del fango si mette in modo, più nulla può fermarla. Scattano le perquisizioni alla ricerca di armi, denaro, oro - la famiglia è passata ai raggi X. Il 19 Aprile del 2005, Aloi è arrestato ed altre 10 persone del tutto estranee alla vicenda finiscono nel tritacarne, tra queste anche sua figlia che, colpevole di aver chiesto aiuto ad un amico, si busca dal medesimo una denuncia per estorsione (mandante il padre). In seguito sarà assolta per non aver commesso il fatto e Aloi non arriverà nemmeno al processo. I familiari mettono insieme tutta la documentazione esistente per dimostrare la sua innocenza e tuttavia, in primo grado, è condannato a 7 anni. Infine, nel 2011, è finalmente assolto in via definitiva per non aver commesso il fatto. Viene da chiedersi come siano possibili certi parti di fantasia. Qui si sfiora l’incredibile: fotografie, pedinamenti, addirittura lo studio della personalità e dello status delle vittime, ma in realtà i ruoli erano invertiti! Aloi era la parte lesa, lui è stato raggirato, truffato, derubato, ingannato, diffamato - dai suoi accusatori e dai giornali stessi. Oggi finalmente la sua innocenza è dimostrata, ma chi potrà restituirgli ciò che ha perso? Chi risarcirà lui e i suoi cari per i danni emotivi ed economici subiti? Non meriterebbe, almeno, pubbliche scuse? Gliele faccio io, intanto - dedicargli queste parole e questo spazio è il minimo che possa fare affinché la verità non resti muta, nell’ombra della menzogna. C. Ricci |
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