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Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
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Una
nuova pista nelle motivazioni della sentenza d’Appello che ha confermato
l’ergastolo.
I giudici triestini: «Delitto compiuto in preda all’ira».
Ma avanzano anche l’ipotesi di un ricatto tra padre e figlio.
“Il Gazzettino” – 3 Settembre 2005
Forse Fabio Cauz fu ucciso dal padre per un ricatto. Un ricatto dalle tinte fosche, che fa risaltare i lati oscuri di un delitto e di un processo entrati nelle pagine più cupe della storia della provincia pordenonese. A novanta giorni dalla pronuncia della sentenza di secondo grado che ha confermato la condanna all'ergastolo per Carlo Alberto Cauz, l'imprenditore di Tamai di Brugnera accusato di aver ucciso il figlio ventenne, i giudici della Corte d'Assise d'appello di Trieste depositano le motivazioni della sentenza e ciò che finora era emerso, a tratti, nei dibattimenti, si legge nero su bianco con l'ineluttabilità della parola scritta. Anche per i giudici di secondo grado, così come già aveva affermato la corte d'assise di Udine, Fabio fu ucciso in un momento d'ira, dopo una lite in cui erano riemerse «l'ansia di indipendenza» del ragazzo, il suo carattere forte e il desiderio di farsi una vita autonoma, staccandosi dalla guida del padre e della famiglia. «Sempre che - affermano però i giudici triestini, aprendo una nuova ipotesi sul movente - non ci sia un'origine ancora più lontana nel tempo e misteriosa, quale quella del ricatto di Fabio collegato a qualcosa che era accaduto tra lui e il padre nell'infanzia, attinente la sfera sessuale». Un'ipotesi a cui avevano fatto cenno alcuni compagni di cella di Cauz, che avrebbero raccolto le sue parziali confessioni nei primi giorni dopo l'arresto e che per i giudici può trovare rispondenza nel tentativo iniziale dell'imprenditore di spingere le indagini degli inquirenti verso gli ambienti omosessuali. Resta comunque il fatto che il delitto, così come ricostruito nelle 85 pagine che motivano la sentenza, fu un delitto d'impeto, non premeditato, seguito a una discussione avvenuta tra Fabio e il fratello maggiore Diego nell'officina di famiglia la mattina del 2 marzo 2002 e proseguita tra Fabio e il padre nel pomeriggio. Per il resto, le motivazioni si rifanno a quanto avevano già scritto i giudici di primo grado, poiché si ritiene «sostanzialmente esatta la ricostruzione dei dati in fatto». I giudici rispondono alle doglianze della difesa, soffermandosi sui punti più controversi: il luogo del delitto - l'officina della Rdm a San Giovanni di Livenza - le tracce ematiche riscontrate al suo interno, l'arma del delitto, la tempistica e l'ora della morte di Fabio, il movente e le confidenze dell'imputato ai compagni di cella. Su quest'ultimo punto, duramente contestato dalla difesa di Cauz, che ha sempre ritenuto inattendibili le deposizioni dei compagni Kalaja e Mezzafonte in quanto "inquinate" dal miraggio di possibili favori giudiziari, la corte ritiene che potrebbero essere «cancellate dall'orizzonte probatorio senza incidere sulla posizione dell'imputato, in quanto la sua colpevolezza poggia su ben più consistenti elementi». Quanto alle modalità del delitto, il colpo sparato con l'arma artigianale - da cui partì un proiettile Nato SS 109 di cui alcuni frammenti furono rinvenuti nel corpo del giovane - e i successivi 16 colpi al capo inferti con un attrezzo dimostrano che l'assassino fu preso da un'ira incontenibile. A quell'ira seguì, secondo la ricostruzione dei giudici, una freddezza oggettiva emersa dalla capacità di Carlo Alberto Cauz di trasportare il cadavere del figlio nei pressi del cavalcavia di Palse dove fu rinvenuto il giorno dopo, nascondere le prove del delitto, ripulire l'officina. Si esclude ogni coinvolgimento di altre persone, in particolare del figlio maggiore Diego, si fanno proprie tutte le ricostruzioni dei periti e numerosi rinvii vanno proprio alla perizia di Carlo Torre, l'esperto torinese che durante il processo di primo grado ribaltò le ricostruzioni del medico legale pordenonese Dal Ben, dimostrando che Fabio era stato ucciso anche con un colpo d'arma da fuoco. Ora si apre la fase conclusiva del processo: quella che lo porterà a Roma, davanti alla Corte di Cassazione per l'ultimo decisivo grado di giudizio. |
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