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Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
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Estratto dall'interessante
"UNA VITA PER LA MORTE"
Analisi del fenomeno dell’omicidio seriale - di Stefano Martello
La vicenda inizia in una discoteca a Castiglione delle Siviere, in provincia di Mantova, dove molti ragazzi stanno festeggiando il Carnevale; nessuno si accorge di due ragazzi travestiti da Pierrot, ma, a festa iniziata, qualcuno avverte una strana puzza di benzina. I due Pierrot vengono scoperti nell’atto di versarne delle taniche sulla moquette, proprio in corrispondenza delle uscite di emergenza della discoteca. I due ragazzi tentano la fuga, ma vengono rincorsi e si salvano a stento da un vero e proprio linciaggio pubblico. Più tardi, al commissariato dove sono stati condotti, spiegheranno il loro comportamento con un laconico "volevamo vedere come ballavano con le fiamme". Ma da chi è composta la coppia "Ludwig"? Non sono balordi o emarginati, bensì figli della Verona "bene"; il primo – Marco Furlan – figlio di un primario dell’ospedale Borgo Trento di Verona e laureando in fisica dopo una breve parentesi alla facoltà di medicina, il secondo – Wolfang Abel – figlio di un noto assicuratore tedesco e laureato in matematica all’Università di Monaco con centodieci e lode. Due ragazzi modello che non avevano grilli per la testa, e vivevano in un universo aristocratico cercando di non farsi "corrompere" dagli aspetti mondani e superficiali che pure attraevano tanti loro coetanei: pur essendo entrambi di famiglia benestante, giravano in bicicletta, detestavano i locali alla moda e chiedevano soldi solo per viaggiare. Amavano le passeggiate in montagna e discorrevano di Kant, Spinosa e Kierkegaard, avevano vaghe idee politiche di destra, ma non erano iscritti a nessun gruppo politico conosciuto. Uno "splendido isolamento" – come sapientemente lo definisce Claudio Pellegrini – che aveva, nel contempo, portato alla decisione di rinchiudere in una morsa di fuoco e di morte oltre 300 ragazzi. Gli inquirenti però non credono all’assurda tesi dello scherzo e, soprattutto dopo una accusa di Abel che affermava che una sua cara amica dopo aver frequentato quella discoteca aveva iniziato a drogarsi, iniziano a "spulciare" negli archivi per verificare se veramente quella era stata una azione isolata, o se rientrava in un piano folle che già aveva mietuto altre vittime. Ed è così, un po’ per caso ed un po’ per abile intuito, che si risale ad un fantomatico movimento neonazista denominato "Ludwig" che – tra il 1977 ed il 1984 – si era macchiato di omicidi di omosessuali e prostitute, tossicodipendenti ed appartenenti al mondo religioso; successivamente "Ludwig" era passato agli attentati nei confronti di locali di dubbia fama: una missione che ha provocato ben 15 vittime. La vicenda ha avuto poi un tormentato iter processuale, "arricchito" – dopo la conferma della Cassazione nel 1991 della condanna a 27 anni di carcere per entrambi – da uno sterile tentativo di fuga di Abel (ripreso dopo nemmeno un’ora) e da una ben più consistente evasione di Furlan che, solo quattro anni più tardi ed in circostanze del tutto casuali, è stato arrestato in Grecia. Il caso in esame pone interessanti questioni. Innanzitutto una riflessione prettamente giuridica sulla misura della pena da comminare in casi del genere; una osservazione che si insinua spontanea ed insistente in colui che scrive e che trova fertile terreno nella condanna in esame – 27 anni di reclusione – che si traduce in media in un anno e mezzo per ogni vittima (senza contare eventuali sconti di pena per buona condotta). Di poi la questione della seminfermità di mente, di cui i due giovani furono ritenuti affetti dai periti, nel corso del processo in cui la Corte d’Assise li ritenne responsabili per "soli" 5 omicidi. Tale ultima riflessione porta ad una necessaria rivisitazione dei criteri adottati per giudicare la sanità mentale di un soggetto. Come ultima analisi, l’effettiva consistenza numerica di quella che, attualmente, rimane la coppia "Ludwig", ma che – non si è mai escluso – forse interessava altre persone; tale ultima teoria, elaborata dagli inquirenti per la complessità di alcuni attentati compiuti dalla coppia, trova parziale conferma soprattutto in relazione all’attentato alla discoteca. Nel caso in esame, infatti, Abel e Furlan lasciarono il motorino a più di sette chilometri di distanza dal luogo deputato come obbiettivo; il tutto risulta ancora più sospetto se è vero che i due raggiunsero la discoteca già travestiti da Pierrot, ma appesantiti dalle due taniche di benzina. Di poi la "missione" religiosa dei due ragazzi che trovò odioso accanimento contro l’ordine dei Serviti, fondato a Chioggia nel 1926 e trasferito a Trento nel 1927; non tutti conoscono tale ordine che, occupandosi del recupero di ecclesiastici che hanno perso la fede, risulta essere sicuramente il simbolo di un certo progressismo ecclesiastico, mirante ad una maggiore "umanizzazione" rispetto ad una chiusura che da sempre ha contraddistinto la vita "temporale" della Chiesa, e che solo attualmente sta avendo un certo seguito. Chi convinse i due giovani a scagliare la loro violenza proprio nei confronti di tale – sconosciuto ai più – Ordine? Sicuramente a tale domanda si può rispondere affermando che i due ragazzi, nel corso della loro vita, avevano avuto una educazione molto colta e che, forse, loro stessi conoscevano l’Ordine; ma le supposizioni non servono a sgombrare del tutto l’idea che la loro non fosse una azione isolata, bensì coadiuvata da altre persone rimaste sconosciute. A parere di colui che scrive, poi, anche la fuga di Furlan che, in un primo momento, si disse essere stata aiutata dal facoltoso padre, ma che – proprio nella durata – trova il maggiore riscontro in un aiuto economico duraturo e costante da parte di persone che non erano soggette a vari controlli da parte delle autorità. In conclusione, questi due esempi – che rappresentano una limitatissima pagina del capitolo italiano "serial killer" – possono ben esplicare quali siano i pericoli in merito a tale problematica: innanzitutto il carattere, spesso timido e riservato, che caratterizza tali soggetti, unitamente ad una normalità di fondo – che si concretizza nei vestiti modesti, nel taglio di capelli ordinario e nel non portare braccialetti o gioielli – che nasconde un inconfessabile segreto. L’incapacità di stabilire rapporti interpersonali normali, unitamente alla consapevolezza della propria malattia che si realizza attraverso il provare piacere solo nel "regalare" la morte ai suoi simili, eccitandosi nel ricordo dei delitti compiuti. |
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