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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Enrico Taglialatela, alla fine, non ce l’ha fatta. Si è spento a 39 anni in una stanza del reparto grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli di Napoli...

“L'Unità”, 31 Agosto 2003 (articolo inviato da Carmine Urciuoli, che ringraziamo)

 

ROMA Enrico Taglialatela, alla fine, non ce l’ha fatta. Si è spento a 39 anni in una stanza del reparto grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli di Napoli, dove era ricoverato dal 19 di agosto. In quella notte, Enrico, transessuale e tossicodipendente, era intento a procacciarsi clienti alla rotonda di Miano (circonvallazione esterna di Napoli) come faceva quasi ogni giorno, in compagnia di alcune prostitute «abituali» di uno dei tanti paesoni vesuviani, a nord della periferia napoletana di Scampia. Tutti italiani, tutti residenti in zona. Non c’è prostituzione immigrata alla rotonda di Melito. Quella stessa sera, dopo aver avuto un primo diverbio con un automobilista, Enrico fu avvicinato da quattro individui a bordo di due motorini. Lo picchiarono, gli dettero fuoco dopo averlo cosparso di benzina e sparirono senza lasciare traccia.

Fu raccolto, con bruciature sul 70% del corpo, da alcuni passanti che avevano assistito alla scena. I medici lo considerarono inizialmente fuori pericolo, ma non vollero sciogliere la prognosi. Ventilatori, antidolorifici e operazione chirurgiche, però, alla fine non sono bastati a salvargli la vita. Le sue condizioni, peggiorate negli ultimi giorni, hanno vanificato l’intervento dei sanitari.

Enrico, a Melito, una delle cittadine con il maggior indice demografico d’Italia (più di 9mila abitanti per chilometro quadrato), era conosciuto da tutti. Fino a cinque anni fa lavorava in un negozio di parrucchiere. Aveva precedenti per detenzione di sostanze stupefacenti, e anche per questo era noto alla polizia.

Sull’aggressione della notte del 19 sta indagando ancora il commissariato di Giugliano. Principalmente si seguono due piste: quella legata al racket della prostituzione e quella del regolamento di conti per una partita di droga non pagata.

Eppure, a 11 giorni dall’agguato, quei quattro individui, a bordo di due motorini, che massacrarono Enrico in quell’angolo di mondo che non è ancora Scampia, e che non è neanche Melito, e che lo fecero davanti a svariati testimoni, non hanno ancora un volto, nè un nome. Come se nei posti di frontiera, dove si può far mercato del proprio corpo ed essere bruciati vivi, anche morire non abbia spiegazioni.

 

Di Amalia De Simone - “Il Mattino”, 8 Gennaio 2005 (articolo inviato da Carmine Urciuoli, che ringraziamo)

 

Di nuovo liberi. Dopo più di un anno, quando ormai il processo che li vede imputati per l’omicidio di Enrico Taglialatela - il transessuale bruciato vivo il 19 agosto 2003 e deceduto dopo undici giorni di agonia - è agli sgoccioli. La quarta sezione della Corte d’Assise di Napoli ha disposto con un’ordinanza la scarcerazione di Domenico Marino di 23 anni e Luigi Sturace di 22, entrambi si sono sempre proclamati innocenti. La richiesta di revoca della misura cautelare era stata avanzata dal pm Fabio de Pasquale subito dopo che la Corte aveva rigettato l’istanza per un procedimento incidentale che accertasse se il teste del processo, un amico dei due imputati, avesse subito pressioni visto che in due occasioni aveva ritrattato le dichiarazioni rese durante le indagini: il ragazzo aveva accusato i due compagni dell’omicidio di Taglialatela. Secondo quella prima versione, a lui Marino e Sturace avevano raccontato i fatti: «Dobbiamo fargli un bagno». Enrico Taglialatela quella sera aveva rifiutato di partecipare a un gioco già provato altre volte. Non voleva concedersi al gruppetto di amici di Marino e Sturace, e i due, per vendetta, dopo quel rifiuto sarebbero ritornati da lui con una tanica di carburante. Calci pugni, botte da orbi e poi la benzina versata addosso a Enrico che continuava a dimenarsi; infine il fuoco. Urla, urla sempre più forti finché le fiamme non lo hanno stordito. Il testimone però ha successivamente negato tutto, sia in sede di incidente probatorio che a novembre in udienza dibattimentale. Enrico Taglialatela a Melito lo conoscevano tutti: era un bravo parrucchiere ma la droga gli aveva mangiato la vita. Per cinque anni, prima di quella dannata notte, ogni sera indossava minigonna e guepiere e scendeva in strada, nei pressi della rotonda di Melito, al confine con la periferia di Napoli, poco lontano da Scampia. Lì ogni notte si riuniscono lucciole e transessuali. Quella sera di mezza estate alcuni passanti cercarono di salvarlo dal rogo. Una corsa prima all’ospedale di Giugliano, poi al Cardarelli. Il suo corpo, divorato dalle fiamme, ha resistito poco più di dieci giorni. La polizia individuò Marino e Sturace grazie alle telecamere del distributore Q8 e di una concessionaria di autotrasporti della zona che avevano catturato le immagini di parti della targa dell’auto, una Fiat Bravo, utilizzata dai giovani. Dopo quasi un anno e mezzo di carcere, proprio quando il processo in Corte d’Assise entra nel vivo, i due unici imputati tornano liberi. Il collegio difensivo, formato dagli avvocati Annamaria Ziccardi, Francesco Foreste e Saverio Senese, associandosi all’istanza di scarcerazione proposta dal pm hanno ribadito che gli indizi a carico dei due giovani sono insufficienti ma non è escluso che la Corte abbia deciso di rimetterli in libertà perchè, in attesa del giudizio, non sussistono più le esigenze cautelari. La prossima udienza è fissata per il 3 febbraio, data in cui dovrà discutere il pm e cominceranno le arringhe dei difensori.

 

Si chiude con l’assoluzione dei due imputati il processo per l’omicidio di Enrico Taglialatela, il transessuale dato alle fiamme da un branco di balordi il 19 agosto del 2003 a Melito e morto dopo undici giorni di agonia

Di Dario Del Porto – “Il Mattino”, 1° Marzo 2005

 

Si chiude con l’assoluzione dei due imputati il processo per l’omicidio di Enrico Taglialatela, il transessuale dato alle fiamme da un branco di balordi il 19 agosto del 2003 a Melito e morto dopo undici giorni di agonia. Dopo tre ore di camera di consiglio i giudici della terza sezione della Corte d’Assise (presidente Achille Scura) hanno scagionato Domenico Marino e Luigi Sturace dall’accusa di aver commesso il brutale delitto. Il verdetto è stato letto dieci minuti prima delle 15 nell’aula bunker del carcere di Poggioreale dove si è celebrata l’udienza conclusiva del dibattimento. I due imputati, entrambi incensurati e poco più che ventenni, sono scoppiati in lacrime. Per entrambi finisce un incubo, la criminale aggressione ai danni di Taglialatela resta senza colpevoli. A chiedere l’assoluzione erano stati sia gli avvocati (Anna Ziccardi per Sturace, Francesco Foreste e Saverio Senese per Marino) sia il pubblico ministero Fabio De Cristofaro. Le parti sono giunte alla medesima conclusione partendo però da posizioni differenti: gli avvocati nella certezza della estraneità dei due ragazzi alla terribile accusa mossa nei loro confronti, il rappresentante dell’accusa a seguito della ritrattazione del testimone-chiave, un amico di Marino e Sturace che nella fase delle indagini preliminari aveva messo gli investigatori sulle tracce degli imputati. Il teste aveva poi modificato la versione originaria sia in occasione dell’udienza di «incidente probatorio» celebrata prima del dibattimento sia in aula, davanti alla Corte d’Assise, inducendo il pm De Cristofaro a chiedere la trasmissione degli atti all’ufficio di procura per valutare la sussistenza di eventuali profili di falsa testimonianza e a sollecitare la scarcerazione di Marino e Sturace, poi accolta dalla Corte d’Assise il 7 gennaio scorso. Alla luce di queste considerazioni appare assai probabile che la procura decida di impugnare l’assoluzione e proporre appello contro la sentenza. Soddisfatti naturalmente i difensori. Afferma l’avvocato Ziccardi: «Dopo sedici mesi è stata finalmente fatta giustizia». Taglialatela, che lavorava come parrucchiere, fu aggredito durante la notte del 19 agosto 2003 in una zona di Melito frequentata prevalentemente da «lucciole». Un gruppo di malviventi lo cosparse di benzina e appiccò le fiamme, l’incolpevole giovane in breve venne divorato dal fuoco. Soccorso poco dopo e condotto all’ospedale di Giugliano, fu poi ricoverato presso il centro Grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli dove, nonostante l’impegno dei sanitari, spirò undici giorni più tardi per la gravità delle ferite riportate. Le indagini si indirizzarono sulla targa di una Fiat Bravo ripresa dalle telecamere di un distributore di benzina e confiscata ieri per ordine della Corte. Quindi furono acquisite le dichiarazioni del teste che aveva indicato nell’azione criminosa la vendetta determinata dalla indisponibilità manifestata dal transessuale ad assecondare la richiesta di alcune «prestazioni». Sin dal principio il giudizio ha assunto i caratteri del processo indiziario. Il verdetto di ieri accoglie la tesi della difesa e consente agli imputati scrollarsi di dosso l’atroce sospetto di aver commesso un omicidio così efferato. Ora si attendono le motivazioni.

 

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