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Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
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A differenza dei maiali dei quali “non si butta via nulla”, delle persone LGBT* non è buono niente, figuriamoci il sangue!
Così, dal 1991 gli omofobi e i razzisti giocano una delle più sporche, umilianti, criminalizzanti e discriminanti partite contro le persone LGBT* e chi di sangue ha bisogno per sopravvivere. L’HIV è un flagello caduto a fagiuolo, come si dice.
I casi noti, naturalmente, sono solo la punta dell'iceberg e riguardano personaggi che certamente non hanno problemi a finire sul giornale. Ma in tutta Italia, dall’entrata in vigore della vergognosa normativa ISO 9000 introdotta dall'allora ministro De Lorenzo, modificata il 18 aprile del 2001 da Umberto Veronesi e successivamente ancora corretta dall'ineffabile e un tantino omofobo prof. Sirchia, ne accadono in continuazione, ancora. E non si creda, come alcuni e alcune incomprensibilmente pensano ignorando la realtà, che solo i gay ne siano vittima: per i crociati del ventunesimo secolo, quando si tratta di omosessualità gli uomini e le donne "pari sono", ma le seconde, che notoriamente sono esseri inferiori con l'unico scopo biologico di garantire una sana e robusta progenie possibilmente maschile, non trovano posto nemmeno nelle casistiche.
C. Ricci
L'ARCIGAY ATTACCA: SULL'ANONIMATO VIOLATO "SITUAZIONE ALLUCINANTE" “Alto Adige”, 3 settembre 2000
"La legge attualmente in vigore sulla donazione del sangue è pazzesca: rimarca la linea di chi pensa che prende l'Aids solo chi se la va a cercare". Così replica Donatello Baldo, presidente dell'Arcigay di Trento, di fronte al caso di Alberto, il donatore il cui sangue è stato rifiutato a causa della comparsa sulla sua scheda della frase "categoria a rischio", dovuta al fatto che lo stesso è omosessuale e che ha eseguito, nel '94, un test per l'Hiv. "E' vero che l'Aids inizialmente regnava nella nostra comunità - spiega Baldo - ma l'abbiamo allontanato con forza: ora le statistiche dicono che tra i contagiati al primo posto ci sono gli eterosessuali, emofiliaci e tossicodipendenti. Solo al quarto posto ci sono i gay". Poi resta aperto il mistero sul come sia comparso sulla scheda di Alberto il fatto che aveva eseguito il test dell'Hiv, pubblicizzato come anonimo. "E' allucinante - dice il presidente - e ci stiamo attrezzando legalmente per capirne di più. Ma la cosa che forse deve fare riflettere maggiormente è come Alberto è stato trattato: bollato allo sportello, messo in imbarazzo e ridicolizzato. E questo conferma quello che da molto tempo denunciamo: l'assenza di professionalità e umanità della classe medica. L'Aids non è la malattia della colpa e chi esegue un test per controllare la sua salute, magari dopo un'avventura, non deve subire alcun pregiudizio".
RESPINTO DONATORE DI SANGUE GAY Di Luca Fregona - Alto Adige (BZ), 12 Maggio 2001
MERANO.
«Voglio donare il sangue, ma continuano ad impedirmelo perché
sono omosessuale, nonostante il ministro Veronesi abbia eliminato questa
insopportabile discriminazione». La denuncia è di Enrico
Oliari, 31 anni, meranese, , più che mai deciso ad abbattere
uno steccato che non ha assolutamente ragion d'essere. Tanto da intervenire
pubblicamente.
PROSCIOLTO IL PRIMARIO CHE TRASFUSE "SANGUE GAY" “Il Mattino”, 8 Gennaio 2003
Prosciolto in appello (presidente Merlino, relatore Giannelli, giudice a latere Caiati) perché il fatto non sussiste, il dottore Domenico Ronga, primario della divisione immunotrasfusionale del Pascale. Si è chiusa con la richiesta di assoluzione, avallata in aula dallo stesso sostituto procuratore generale Antonio Iervolino, una vicenda cominciata nel ’97 quando il dottore Ronga - presa visione di una lettera anonima ricevuta da una sua paziente alla quale aveva trasfuso sangue prelevato da un donatore gay che aveva una relazione fissa - presentò un esposto denuncia all’ex Procura circondariale. A conclusione dell’indagine condotta dal Procuratore aggiunto Michele Morello, il dottore Domenico Ronga fu condannato in primo grado dal giudice Marcella Suma a otto mesi di reclusione, quattrocentomila lire di multa e due anni di interdizione (pena subito sospesa) dalle attività sanitarie. La condanna penale del primario, che dispose la trasfusione a una paziente di sangue prelevato da un gay, diede la possibilità al Pascale di avviare un’inchiesta amministrativa sul funzionamento del centro trasfusionale. Il commissario straordinario dell’ epoca, Alfonso Barbarisi, il 9 febbraio 2001 notificò al dottore Ronga sette capi d’accusa e l’11 maggio dello stesso anno lo licenziò. Ronga fu reintegrato il 28 giugno e tre mesi dopo, il 26 settembre 2001, il giudizio di merito annullò il licenziamento con sentenza divenuta inappellabile.
«SONO DONATORE SCELTO ESCLUSO PERCHÈ OMOSESSUALE» La storia di Bruno Di Pietro, che si rivolse all'Arcigay per denunciare la discriminazione dell'ospedale Maggiore di Milano Di Delia Maccarello – “L’Unità”, 16 Marzo 2004
«Il nove agosto del 2002 ho ricevuto il diploma di donatore scelto, a rilasciare questo attestato è stato proprio Girolamo Sirchia in qualità di Presidente dell'associazione "Amici dell'ospedale policlinico donatori di sangue". Ho ricevuto anche l'omaggio di un Cd musicale. Era dal 95 che donavo il sangue. Nel dicembre del 2002 il medico con cui prima di donare, circa ogni tre mesi, avevo un colloquio, un medico umano come dovrebbe essere un medico, mi ha detto visibilmente imbarazzato: "Purtroppo le devo comunicare che lei non può più essere un donatore di sangue a causa dei suoi orientamenti sessuali". Non ci potevo credere. Mi sono sentito disarmato, inerme, impotente di fronte a una profonda ingiustizia. Solo e piccolo. Era la prima volta che qualcuno o qualcosa, dall'esterno, mi considerava "da meno" rispetto a qualsiasi altro essere umano in virtù del fatto che sono gay. Subito dopo è venuta la rabbia, intensa, forte: non mi veniva più da piangere, ma da gridare. Ho sentito il bisogno di parlarne con tutti. Mi sono detto: non reagire sarebbe da mafiosi». Bruno Di Pietro, un giovane trentenne, si rivolge all'Arcigay e Paolo Ferigo, responsabile dell'Area salute, scrive una lettera al direttore sanitario dell' ospedale Maggiore di Milano, chiedendo i motivi dell'esclusione, visto che dal gennaio del 2001 è in vigore il decreto del ministro Umberto Veronesi. Tale decreto punta l'attenzione sui comportamenti sessuali a rischio a prescindere dal sesso dei partner, cancellando l'errato riferimento alle presunte «categorie a rischio», frutto di quello che Gigliola Toniollo dei Nuovi diritti Cgil definisce «un vecchio penoso equivoco». La risposta della direzione sanitaria arriva nel marzo del 2003. Si dice che in data 23 aprile 2001 Girolamo Sirchia, allora primario del centro trasfusionale dell'ospedale maggiore di Milano, ha chiesto all'allora ministro Veronesi ulteriori specifiche relative ai comportamenti a rischio, dichiarando che nel frattempo sarebbero stati applicati i criteri indicati dall'American Association of Blood banks. Nel frattempo, dunque, recita la lettera, il centro trasfusionale mantiene «in vigore la policy di escludere dalla donazione le persone di sesso maschile che abbiano avuto rapporti omosessuali». Nell'attesa, in pratica, non si tiene conto del decreto. La denuncia dell'Arcigay è chiara e si riaggancia a fenomeni simili in altre città: «"Il ministro Sirchia deve intervenire - dice Sergio Lo Giudice, presidente nazionale Arcigay - per far rispettare la legge. Ci attendiamo anche che corregga la posizione assunta dal Centro trasfusionale dell'Ospedale Maggiore di Milano quando lui stesso ne era primario». Eppure, per un certo tempo proprio all'ospedale Maggiore il decreto non era stato ignorato. Racconta Bruno Di Pietro: «Quando iniziai a donare nel '95 non avevo avuto rapporti sessuali. A un certo punto dovetti fare una pausa perché mi ero recato in un paese tropicale, e i protocolli prevedono una lunga sospensione. Quando ritornai, nel 2001, avevo scoperto la mia omosessualità in una relazione monogama. Ebbi un colloquio con il medico che diventò poi il mio referente abituale. Il colloquio serve per informare su possibili variazioni delle proprie abitudini. Fu allora che, emozionato perché era la prima volta che parlavo di me, dissi: "Ho avuto rapporti omosessuali". Lui si informò di come fossero avvenuti e, appurato che erano sempre con lo stesso partner e con l'uso del profilattico,mi disse che non c'erano problemi. In più mi invitò a contattarlo per qualsiasi cosa. Si era istaurata tra noi una relazione di fiducia». Nel 2002 arriva la doccia fredda. Bruno si sente tradito, ma riesce a capire che non è il medico a decidere. E poi reagisce. Animato dallo spirito che Gigliola Toniollo Cgil descrive bene: «Le conquiste che facciamo in anni di serrato lavoro quotidiano sono talmente poche che neanche per un attimo è possibile ammettere che si possa tornare indietro su nulla, tanto più su questioni tanto delicate e, una volta tanto, infine sistemate». A settembre del 2003 Bruno Di Pietro si rivolge all'Avis. «Mi visitano, mi chiedono perché non voglio più donare al Policlinico, spiego che non mi sento più a mio agio e che ho perso fiducia in loro. Non fanno domande in merito ai miei orientamenti sessuali, il colloquio è relativo solo alle mie abitudini (relazione stabile, numero e frequenza dei mie rapporti, modalità di prevenzione, ecc.). Da quel momento sono diventato loro donatore». Bruno conosce il valore del suo gesto: «Per me donare il sangue è un modo di amare. In Italia non c'è una cultura adeguata a riguardo. Mi occupo di bilanci sociali, so che i benefici di una comunità non sono solo di natura economica. So di essere una risorsa per la società».
"IL SANGUE GAY" Di Paolo Berizzi - "La Repubblica", 3 Settembre 2005
Se volete donare il sangue e siete omosessuali, badate bene: potreste essere scartati. "In Italia non si può". Anzi sì, ma dipende dai punti di vista (del medico). In pratica: non è che la legge lo vieti - un tempo era così, oggi non più - al contrario. E' che può succedere che qualcuno vi dica "no, se lei è gay allora niente prelievo". Proprio questo si è sentito rispondere, al Policlinico di Milano, Paolo Pedote, 39 anni, alla sua prima, mancata, donazione di sangue. E' il 16 agosto. Pedote, che - ironizza - "nonostante l'omosessualità" è sano come un pesce, vede in giro uno slogan pubblicitario: "Se hai sangue nelle vene, dimostralo!". E' lo spot scelto dal Policlinico per incentivare la donazione. "Donare il sangue - si legge - è un gesto di altruismo e di responsabilità civile. Basta avere tra i 18 e i 60 anni, un peso superiore ai 50 kg, un buono stato di salute e avere fatto una colazione leggera...". "Ma soprattutto - aggiunge Paolo con un sorriso amaro - è indispensabile non essere omosessuali". Lui di sangue nelle vene ne ha da vendere. E non può certo immaginare che i suoi gusti sessuali siano, per i medici, una discriminante. Così si presenta al Policlinico. Reparto trasfusioni e immunologia dei trapianti. "Alla reception - racconta - ti chiedono di leggere un modulo sul quale è indicato tutto ciò che presuppone la sospensione temporanea o definitiva dalla donazione: dai vaccini agli antibiotici, dai tatuaggi all'assunzione di droghe leggere; fino alle malattie infettive, sifilide, Aids, epatite". Poi il punto più importante: "I rapporti sessuali, anche protetti, con persone a rischio, prevedono la sospensione permanente". "Giusto - dice Paolo - la discriminante infatti deve essere questa, i rapporti a rischio, di qualsiasi tipo. Non l'omosessualità". Che infatti, nel vademecum, non viene mai menzionata. Il veto per chi ha rapporti omosessuali (maggio '91, decreto dell'allora ministro alla Sanità De Lorenzo) è stato abolito (nel 2000 dal governo Amato) dopo anni di lotte gay. Ma tant'è. "Avendo escluso tutti i motivi elencati - continua - mi sento del tutto idoneo come donatore. La dottoressa Elena Coluccio mi sottopone a una visita medica. Inizia una serie di domande considerate di routine per i neofiti della donazione. Lavoro, stile di vita, biografia sanitaria, via via fino alla mia vita sessuale: mi chiede se ho rapporti con una partner fissa o con partner femminili occasionali non protetti. Rispondo di no, i miei rapporti sono sempre protetti e mai a rischio, ma aggiungo che i miei partner non sono donne ma uomini perché sono gay". Sul volto della dottoressa c'è un misto di panico e imbarazzo: "Allora, il problema è questo - mi dice - So che la legge permette anche agli omosessuali di donare il sangue, ma noi come nostra politica interna del Centro abbiamo deciso di non accettarli". Pedote reagisce indignandosi. "Lei mi porta dal dottor Maurizio Marconi. Il quale, dopo una cordiale stretta di mano, mi spiega il problema: "Io applico le leggi dello Stato"". Segue contraddittorio sulle leggi dello Stato. "Mi dice: "Non è il suo orientamento sessuale a escluderla dalla donazione. Il punto è che i rapporti gay tra maschi sono sempre a rischio". Solo quelli. Infatti le lesbiche, mi spiega, vengono accettate. E comunque, conclude, "qui si fa così. Ognuno sceglie secondo coscienza. Mi dispiace". E se ne va". La direzione sanitaria, interpellata, rifiuta di commentare quanto accaduto. Paolo Pedote esce umiliato e amareggiato dall'ospedale. Dice di non essersi mai sentito così offeso. Per di più, in barba alla legge. "Ma non mi arrendo, io il sangue voglio donarlo. E le norme me lo consentono". Piccolo particolare: di mestiere Paolo fa lo scrittore (collabora con la rivista Pride). Il suo ultimo libro si intitola "Omofobia". Ma questo i medici non potevano saperlo.
SANGUE GAY? NO GRAZIE Polemica tra ministri sulla decisione del Policlinico di Milano di non accettare sangue da Paolo Pedote, donatore omosessuale. L'abbiamo intervistato. Annunciata una manifestazione Di Roberto Taddeucci – “Gay.it”, 29 Settembre 2005
MILANO - Recarsi in un ospedale col nobile intento di fare una donazione di sangue e sentirsi dire "no grazie" a causa del proprio orientamento sessuale. Succede nella più grande città del nord Italia e sull'argomento è scontro aperto tra i due ministri della Salute del governo Berlusconi. Dal ministero guidato oggi da Francesco Storace è partita una lettera indirizzata all'ospedale Maggiore Policlinico di Milano con l'invito a modificare i protocolli relativi alla donazione del sangue, eliminando ogni riferimento discriminante relativo all'eventuale omosessualità del donatore. Gli ha risposto il suo predecessore, Girolamo Sirchia, accusandolo di parlare senza essere informato e di badare solo alla ricerca di consensi. "Ma non si può fare demagogia su un tema che riguarda la salute." ha aggiunto Sirchia, "Noi abbiamo il dovere di tutelare i nostri pazienti e non possiamo dar loro un rischio maggiore di quello che già corrono". Dalla direzione del centro trasfusionale meneghino dicono di non avere alcun intento discriminatorio contro gli omosessuali e di avere come solo obiettivo la sicurezza del sangue raccolto. Sull'argomento è intervenuta la Società Italiana di Medicina Trasfusionale, il cui Presidente, Pietro Bonomo, ha espresso "disagio" in merito al rifiuto di accettare come donatore di sangue presso l'Ospedale Policlinico di Milano un soggetto in quanto omosessuale, parlando apertamente di un "diritto negato" e ricordando che il sangue è un "farmaco" indispensabile per salvare la vita di un malato che non è producibile in una fabbrica ma può essere fornito solo da esseri umani per altri esseri umani. Ha aggiunto poi che «le leggi che regolano le attività della donazione e della trasfusione del sangue nel nostro Paese sono basate sugli aggiornamenti e i progressi scientifici e culturali che negli ultimi 15 anni sono stati molto importanti». E' per questo che «i recenti provvedimenti legislativi italiani, così come tutta la normativa europea di riferimento, non citano più tra le cause di non idoneità alla donazione di sangue "categorie di soggetti a rischio", bensì "comportamenti a rischio" che possono essere comuni a categorie diverse. In altre parole non è considerata a rischio "la categoria degli omosessuali", bensì "i comportamenti omo o eterosessuali" che possono comportare una maggiore probabilità di trasmissione di malattie infettive». Ciò in base «all'evidenza scientifica che l'AIDS, che negli anni '80-'90 era considerata la "malattia dei gay", è divenuta una malattia a trasmissione sessuale che interessa oggi prevalentemente soggetti eterosessuali». A Paolo Pedote, scrittore e giornalista milanese che con la sua testimonianza ha fatto emergere il caso, sarà sembrato di essere tornato di 15-20 anni indietro nel tempo. Ci è sembrato opportuno dargli la parola. Paolo, dicci come sono andate le cose. Sono andato al Policlinico di Milano ed ho passato i primi screening iniziali, riguardanti il mio passato dal punto di vista medico, eventuali malattie in famiglia eccetera, dopo di che sono partite tutta una serie di domande relative alla vita sessuale. Mi è stato chiesto se avevo una partner fissa e ho detto di no. Mi è stato chiesto se avevo delle partner occasionali e ho detto di no. Ho spiegato che i miei rapporti sono sempre protetti ma sono con uomini. A quel punto mi è stato detto che, sebbene per legge sia possibile per gli omosessuali donare il sangue, al Policlinico non lo accettano. Il dottor Marconi dopo mi ha ribadito che secondo lui non è pregiudizio ma una decisione volta a tutelare il ricevente perché gli omosessuali maschi sarebbero una categoria a rischio. Gli ho fatto presente che la legge non parla di categorie a rischio ma di comportamenti a rischio e io non avendo mai avuto rapporti a rischio non intendevo accettare questa loro posizione. Nel loro caso mi hanno detto che si trattava di una scelta interna al policlinico, fatta secondo coscienza. Sono andato via piuttosto arrabbiato, dicendo loro che la cosa non sarebbe finita lì e che avrei cercato di farmi sentire. Sono molto fiero di aver fatto questa battaglia e che abbia avuto questa risonanza mediatica, ma circa un mese dopo siamo ancora alle polemiche sul "donatore gay". Sei stato ospite nella trasmissione di Maurizio Costanzo. Come ti sei trovato? Bene, anche perché tutto quanto è stato incentrato sul tema dell'omofobia. (Pedote è co-autore con Giuseppe Lo Presti del libro intitolato appunto "Omofobia", raccolta di citazioni che tracciano una breve storia del pregiudizio nei confronti delle persone omosessuali, edito da Stampa Alternativa. Ndr.) Costanzo è stato molto gentile da questo punto di vista. Con Alessandro Cecchi Paone, altro ospite, abbiamo fatto fronte comune contro il sessuofobo Sirchia. C'era anche il criminologo Francesco Bruno che detto che anche nel suo campo scientificamente non valutano più le categorie a rischio ma i comportamenti. Su queste posizioni rimane solo il policlinico di Milano e altri pochi centri, vittime evidentemente di un cattolicesimo bigotto. Su tutta la questione è stato fatto del terrorismo psicologico verso chi accetterà il sangue dei gay, qualcuno potrà essere indotto a pensare che hanno un sangue meno sicuro di altri e questo secondo me da un punto di vista legislativo è molto pericoloso. Da questo poi parrebbe emergere che il preservativo non è strumento utile per tutelarsi dal contagio, perché con questa storia delle categorie a rischio sembra quasi che si voglia dire che se anche uso il preservativo posso essere contagiato. In altre parole si dice che il profilattico agli omosessuali non serve, perché i gay sono portatori di Hiv. Sono due elementi molto gravi, da combattere. Si è parlato del caso alla riunione del direttivo del C.I.G. Centro Iniziativa Gay-Arcigay Milano, il cui presidente Paolo Ferigo ci ha detto: «Abbiamo dato mandato ai nostri legali di vedere se c'è una forma per poter procedere ad una denuncia contro il Policlinico, sebbene non sia una cosa semplice non essendoci leggi antidiscriminatorie e norme che ci possano difendere. Ci stiamo studiando. Nel frattempo stiamo preparando una manifestazione all'ospedale proprio per rifiutare quello che il Policlinico dice e che dovrebbe presumibilmente avvenire sabato 8 ottobre». Essendo la data indicativa per avere conferma di quella definitiva si consiglia di consultare il sito dell'Associazione.
OMOSESSUALE E DONATRICE Mi hanno fatto piangere Lettera al giornale di Claudina Tasso – “La Repubblica”, 8 Settembre 2005
Ho 34 anni, nata e cresciuta a Milano ma a Boston da ormai due anni. Sono stata donatrice di sangue presso il Centro Trasfusionale di Immunologia dei Trapianti del Policlinico di Milano dal 1989 al 1996, anno in cui non mi è stato consentito donare il sangue a causa della mia omosessualità. Ragione addotta dal medico: «Normativa ISO 9000». Inutile tentare di fare appello al buon senso e alla professionalità che dovrebbero contraddistinguere i membri della professione medica: le donne omosessuali sono la categoria di persone a rischio più basso di contrazione e trasmissione di malattie sessuali (dati Oms). Sono stata riammessa come donatrice nel 2001, in seguito all'abolizione del decreto De Lorenzo. Nel 2002 sono stata nuovamente esclusa. Mi sono sentita rispondere: «Il Prof. Sirchia in riunione è stato chiarissimo: non voglio omosessuali fra i miei donatori». Il Prof. Sirchia, allora credo già ministro della Sanità, è stato tra i medici di maggior spicco del Centro Trasfusionale, forse ne è stato anche il direttore. Ho lasciato il Policlinico con mio padre, donatore da almeno 35 anni, entrambi con le lacrime agli occhi. Ma non è questo il problema. Il problema è la violazione del diritto di tutte le persone malate e bisognose di sangue a ricevere il mio sangue che, come quello di tante altre persone omosessuali, è sano e deve essere reso disponibile. Ringrazio il sig. Paolo Pedone per avermi fatto trovare il coraggio che mi è mancato tre anni fa.
SEI GAY? NON DONI SANGUE - L'AVIS SI SCUSA: è UNO SBAGLIO Da sei anni le regole sono cambiate: i gay possono donare Di Ma. Pi. - "Il Mattino", 22 Luglio 2006
"Per due volte - denuncia Salvatore Simioli, presidente dell'Arcigay di Napoli - un nostro socio è stato scartato dall'Avis, in piazza Carità e piazza San Domenico Maggiore. Ha chiesto di donare e ha detto di essere omosessuale: non gli hanno fatto compilare il test, l'hanno scartato a priori. Un comportamento grave: denota una forte impreparazione da parte degli operatori". Da sei anni le regole sono cambiate: i gay possono donare. Nel test d'idoneità non c'è più alcun riferimento all'orientamento sessuale. Lo sa bene il presidente napoletano dell'Avis, Antonio Esposito. "Sono dispiaciuto - dice Esposito - per l'errore compiuto, comunque senza cattiveria, dai volontari. E mi scuso con l'Arcigay perché è un'offesa scartare un donatore in quanto gay; è come scartare un nero per la razza a cui appartiene. Non si può precludere a nessuno di venire a donare. A volte, per leggerezza, qualcuno può sbagliare". Ma l'Arcigay insiste: "Anche indurre un momentaneo imbarazzo dimostra che c'è il pregiudizio. Si continua a confondere un modo di essere con la pratica omosessuale". Ora che le donazioni di sangue scarseggiano, l'Arcigay di Napoli ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione: rimborsa le spese ai propri soci che vanno a donare e li invita a dichiarare la propria omosessualità (anche se questo non è previsto dal protocollo) per verificare la reazione degli operatori. Oltre alle postazioni ambulanti dell'Avis, i donatori dell'Arcigay sono stati in 7 centri trasfusionali di Napoli e provincia. "Bene al Cardarelli e all'Ascalesi di Napoli, alla Croce Rossa di Portici - spiega Carmine Urcioli, che coordina l'iniziativa - Invece, all'ospedale San Paolo, oggi, un nostro volontario non ha potuto donare, perché mancava il personale medico". Più complessa la situazione nell'hinterland. "All'ospedale di Castellammare - dice Urcioli - l'addetta ha avuto un momento di incertezza ("un attimo, domando se può donare", ha detto), dimostrandosi poco aggiornata in materia. A Torre del Greco, l'operatore ha ripetuto una seconda volta alcune domande al nostro insegnante di 48 anni, dopo che ha dichiarato di essere gay e così lo ha messo in imbarazzo. Ad ogni modo, in entrambi i presìdi è stato possibile donare". Prelievo effettuato anche nell'ospedale di Nola, dove però "è affisso un cartello (a firma dell'ex primario) che invita chi ha avuto rapporti omosessuali ad autoescludersi. Va subito rimosso", tuona l'Arcigay. |
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