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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

I due compagni litigavano spesso ma «passeggiavano abbracciati e si baciavano normalmente»
Nella camera da letto niente luce, sangue e sporcizia
«Lo conoscevo, sembrava un bravo ragazzo». Voci in via Nazionale, volti attoniti davanti al luogo della tragedia.

“Unione Sarda”, 24 gennaio 2001

 

Quartucciu. Lunedì notte, ieri mattina: i due atti conclusivi di un delitto agghiacciante, scandito nelle fasi del macabro ritrovamento da un rumore assordante. Il gruppo elettrogeno dei vigili del fuoco dispensa corrente per far luce nelle stanze maleodoranti della vecchia abitazione e decibel nel cuore del paese che si era addormentato nel mistero di una morte sospetta e che si è risvegliato con la notizia dell’omicidio: Fabrizio Frau è stato ucciso un mese e mezzo fa da Paolo Ibba, Barabba, il suo convivente. Le immagini della tragedia non filtrano da dietro il cancello celeste, in via Nazionale 144: più che un numero civico l’ordine di composizione dei tasti di un telefono erotico.

Sesso, droga, solitudine: i tre elementi di un delitto da ricercare alle radici della miseria. Una relazione gay interrotta dopo quasi un anno da due tiri di cocaina: Paolo Ibba viene colpito da un raptus di follia alle due del mattino del primo dicembre. Va a letto con il suo convivente, aspetta che prenda sonno e lo ferisce con un temperino. Fabrizio Frau si sveglia, forse inizia a urlare, sicuramente si agita: perde sangue, reagisce. Ibba afferra un cavo elettrico, lo stringe al collo dell’amante ripudiato: per finirlo usa una cintura di cuoio. Segue la fuga, magari per costruirsi un alibi: a Roma, stazione Termini, un certo Antonio lo indirizza nella comunità di recupero “Villa Maraini”. Sta lì sino ai primi giorni di gennaio, prima di recarsi a Firenze e, infine, rientrare a Cagliari in casa dei genitori il 13 gennaio.

Ha confessato ieri all’alba, nella caserma dei carabinieri di Selargius davanti al magistrato di turno, mentre il cadavere di Fabrizio Frau, straziato e in evidente stato di decomposizione, veniva esaminato dal medico legale.

«È assurdo, non doveva finire così». Gianna conosceva Fabrizio fin dall’infanzia: «Non era un “molestatore” e non nascondeva le sue tendenze. Con me, però, si è sempre comportato bene».

Mauro, un vicino di casa: «Si dice che sia stata la sorella ad avvisare i carabinieri. Non lo conoscevo bene, però salutava ed era corretto».

In via Nazionale la gente mormora, bisbiglia frasi di circostanza mentre la polizia scientifica blinda ai curiosi la casa campidanese teatro dell’omicidio. «Passavano per strada abbracciati e si baciavano, come una coppia “normale”. Logico che non fossero ben visti e che fra la gente fioccassero le chiacchiere e i commenti».

Tonino Orrù non tradisce l’imbarazzo per un episodio che in paese non ha precedenti: «Mai si era vista una mobilitazione così massiccia di forze dell’ordine, mai si era verificato un omicidio così efferato».

Che Fabrizio Frau fosse gay lo sapevano tutti. E tutti sapevano che si faceva: «Mischiava le droghe, almeno così raccontano». Fabrizio aveva anche tentato di suicidarsi. «So che tempo fa si è dato fuoco con il gas di una bombola, poi con un temperino», dice Michela Garioto. «Che bisticciasse con il “fidanzato” poi era un dato di fatto».

Dentro la casa i carabinieri raccontano di aver visto condizioni al limite del disumano: niente luce, niente acqua, sangue, disordine e sporcizia. Il cadavere avvolto in una coperta: la macabra scoperta di lunedì pomeriggio. L’arrivo dei familiari, una sorella e qualche cugino, la disperazione di una famiglia da cui Fabrizio si era staccato da tempo. Nessuno ha visto l’anziana madre della vittima, che ha sopportato per anni un rapporto alla fine ingestibile.

Davanti, fra le traverse dai toponomi africani di una strada dove si snodano in rapida sequenza il Monumento ai caduti, il Municipio, qualche palazzotto in stile Liberty e le sezioni dei partiti dell’intero arco costituzionale, c’è una scuola materna comunale. Cinquanta passi indietro un bar frequentato anche da tossicodipendenti. «Per non parlare delle fornaci Picci, l’unico luogo di ritrovo rimasto ai nostri giovani», tuona Giovanni Cannas, “Liberazione” sotto braccio e un diavolo per capello. «È assurdo che nessuno si sia accorto e che nessuno abbia fatto niente per evitarlo». Dal Municipio, in verità, Fabrizio otteneva di tanto in tanto i viveri. E se guadagnava qualche soldo lo spendeva per drogarsi. Magari con Barabba, di cui a Quartucciu parlano in pochi, per ricordare che «metteva sempre in mostra muscoli e tatuaggi». Il suo carnefice.

 

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