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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Romeno di 19 anni assassinò don Granados: «Voleva da me un rapporto sessuale»

“Il Messaggero”, 23 Gennaio 2001

 

Ergastolo. Una pena severissima per il giovane romeno Laurentiu Timofte, che ha confessato di aver ucciso nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio dello scorso anno, don Giovanni Maria Ochoa Granados, 55 anni, sacerdote messicano che viveva in un grande appartamento alla Prenestina. Il gip Luisanna Figliolia ha accolto la richiesta di rito abbreviato, ma ha deciso che i 20 anni di carcere sollecitati dal pubblico ministero Paolo D’Ovidio, fossero troppo pochi per un omicidio così efferato, e ha emesso un verdetto “a vita", nonostante l’assassino abbia solo 19 anni.

Nella decisione del magistrato pare abbiano pesato molto le aggravanti contestategli: quella di aver abusato dell'ospitalità del prete, di aver agito per motivi abbietti o futili, di aver seviziato la vittima e, infine, di essere scappato dal luogo del delitto senza chiamare i soccorsi anche se il prete poteva essere ancora vivo. Timofte, inoltre, è stato accusato di furto, per aver sottratto dalla casa di via Prenestina il cellulare di don Granados, alcuni gioielli e 700 mila lire. Ieri mattina, in aula ha voluto essere presente anche il fratello del sacerdote ucciso. Assistito dall’avvocato Rosario Tarantola ha presentato una lettera nella quale spiega che la sua famiglia ha perdonato l’assassino del fratello e che si sarebbe rimesso alla giustizia terrena. Il gip gli ha riconosciuto 100 milioni di provvisionale. Laurentiu Timofte viene arrestato pochi giorni dopo l'omicidio, il 4 maggio 2000, e in breve tempo confessa di essere l'assassino del sacerdote. «Voleva avere con me un rapporto omosessuale - dichiara agli investigatori - Insisteva e io non ci ho visto più. Gli ho preso la testa e gliel’ho sbattuta contro il muro. Lui urlava, era pieno di sangue, allora ho afferrato il crocifisso di legno e l’ho colpito più volte». Subito dopo il giovane racconta di aver legato i polsi della sua vittima con il filo elettrico e le gambe con un asciugamano. Poi fugge. Secondo gli inquirenti, forse Granados era ancora vivo.

 

Dall’ottimo “Omocidi” di Andrea Pini (Stampa Alternativa, 2002)

 

(…) Cinquantatre anni, di origine messicana, fondatore della congregazione "Frati missionari della Santa Croce", non riconosciuta dalla Chiesa, il prete era stato "sospeso" da qualche anno dal vicariato della diocesi di Roma, ma era sacerdote presso la diocesi di Siena, e poteva amministrare i sacramenti. Di famiglia benestante (i suoi parenti vivono tutti in Messico) , aveva acquistato a nome della congregazione un grande appartamento in piazzale Prenestino, in un palazzo umbertino in cui viveva da otto anni.

Era un uomo robusto, con i capelli bianchi, da qualche tempo con i baffi e il pizzo. A volte, raccontano i vicini, vestiva con abiti sgargianti: della sua omosessualità non parlano apertamente, ma lasciano intendere che l'avevano capito. Sembra che non avesse una relazione stabile. Nella sua casa sono poi state trovate molte foto di ragazzi nudi che facevano la doccia e foto di amplessi, fatte con l’autoscatto. E stato ucciso nel suo appartamento, e il suo corpo è stato trovato nudo, ad esclusione di un paio di mutandine rosse da donna, riverso a terra, con i piedi e le mani legati da un asciugamano e da un filo elettrico, la testa fracassata con un pesante crocifisso di ferro, lasciato per terra a pochi metri dal cadavere, molto sangue sulle lenzuola e sul pavimento. Nonostante la sospensione, il prete diceva messa la domenica nel suo immobile, e aveva raccolto una piccola comunità di fedeli, forse una trentina di persone. In una delle nove camere della casa vi era un altare con un Cristo e un inginocchiatoio. Buon affabulatore, ottimo e generoso ospite, affascinava i suoi fedeli e condivideva con loro preghiera, dialogo, raduni in piccoli centri della provincia, pranzi nella sua ampia cucina. Un mese prima era stato chiamato a rispondere in tribunale del furto di calici e testi sacri dalla chiesa di S. Maria della Luce in Trastevere, dove in precedenza teneva gruppi di preghiera. Aveva avuto altri guai con la giustizia a causa di controversie nate con un libanese che lo accusava di avergli rubato moglie e figlia, oltre a 600 milioni. L’uomo aveva anche denunciato al vicariato "i comportamenti immorali" del prete. Al vicariato era aperto contro di lui un procedimento di "sospensione a divinis", presso il Tribunale collegiale penale, con tre capi di accusa: comportamento omosessuale (tra le denunce sembra ve ne siano di giovani, peraltro maggiorenni, per "stupro"), irritualità nella professione della dottrina (accusato di esoterismo e magia), appropriazione illecita e vendita di arredi sacri.

Tre giorni dopo è stato arrestato l'assassino, che ha confessato. Pare che la polizia sia arrivata a lui grazie alle foto che la vittima aveva scattato ad alcuni suoi connazionali, anch'essi marchettari. È Laurentu Timofte, un giovane rumeno clandestino di 19 anni. Laurentu, capelli scuri, fisico asciutto e atletico, "batteva" a piazza della Repubblica, chiamata dai romani col suo vecchio nome di Esedra, a due passi dalla stazione Termini. Fra i moventi dell'omicidio ancora una volta ritroviamo la rapina. Quando l'hanno arrestato aveva ancora addosso il braccialetto d'oro con il nome di don Juan Granados, Ha confessato piangendo e ha dichiarato che quando è uscito dall'appartamento Juan era ancora vivo. Si erano conosciuti due settimane prima del delitto, nella piazza più marchettara di Roma: ma, secondo il giovane, Juan gli aveva solo offerto da bere e lui aveva chiarito subito di non essere omosessuale e di farlo solo per denaro. Poi si erano rivisti la sera del delitto: una domenica che il sacerdote aveva passato con i suoi fedeli a Nepi, si era fatto riaccompagnare a casa verso le 11 di sera e poi era subito ripartito con un taxi, in cerca di qualcosa di più stimolante della preghiera. Nella piazza il prete incontra nuovamente il bel rumeno alto e muscoloso e lo porta a casa con un altro taxi, dopo aver concordato una tariffa di 100mila lire. A casa, racconta alla polizia il rumeno, è circa l'una di notte, si sono spogliati in bagno, hanno fatto una doccia, hanno provato ad avere un rapporto ma la marchetta non era pronta per l'uso. Poco dopo a letto il prete ci riprova ma la marchetta di nuovo non gradisce e alza le mani. Il prete cerca di difendersi ma il giovane lo aggredisce violentemente e lo colpisce con i due terribili colpi di crocifisso che gli fracassano il cranio. Poi il diciannovenne lo lega e comincia a rovistare per la casa. Se ne andrà con 700mila lire, alcuni bracciali, un anello e un rolex d'oro con diamanti del valore di 80 milioni. Prima di uscire dalla casa, con un gesto più volte incontrato in questi delitti, getta una coperta sul corpo della vittima che è a terra. Il giorno dopo vende al primo ricettatore che trova anello e rolex per due milioni e prende una stanza in un albergo vicino la Stazione. Quando lo arrestano dichiara di non sapere neppure che il prete era morto: è per questo che si sentiva al sicuro tanto da portare il braccialetto di don Juan in tasca?

Nella primavera 2001 l’omicida è stato condannato all’ergastolo.

 

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