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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Due ragazzi si baciano dentro un bar della cittadina e vengono subiti ripresi dal proprietario. Ma questa volta uno dei ragazzi decide di ribellarsi a questa ennesima discriminazione e si rivolge sia ai Carabinieri che alla stampa locale

Di Alberto Magni - 9 Febbraio 2001

 

Sei amici entrano in una birreria per trascorrere del tempo allegramente insieme. Tra loro c'è una coppia di fidanzati che si scambiano un bacio. Sono le effusioni di tutte le coppie, in quel locale come dappertutto, ma la nostra coppia viene bruscamente ripresa: non possono manifestare il loro affetto perché sono due ragazzi. Chi accusa sostiene la solita tesi, di non essere contro i gay, ma che i gay non si permettano di fare in pubblico quello che fanno normalmente le persone normali.

Sarebbe una storia di ordinaria discriminazione quella accaduta in un bar di Abbiategrasso, cittadina satellite di Milano alla periferia ovest, se uno dei protagonisti non si fosse ribellato, facendo sentire la sua voce attraverso i mezzi che aveva a disposizione: i Carabinieri e la Stampa locale. Ciò dimostra che è possibile protestare quando noi gay sentiamo di essere discriminati ed è anche possibile trovare ascolto. E aggiungo che bisogna protestare se vogliamo che tali atteggiamenti siano sentiti offensivi non solo da noi, ma anche dalla maggioranza della popolazione.

 

Di Alessandra Ceriani - “Ordine e Libertà”, 9 Febbraio 2001

 

Abbiategrasso. E' finita in maniera movimentata la serata di domenica [4 febbraio 2001, n.d.a.] alla birreria Cantinone di viale Cattaneo 32. A tenere banco è stato il battibecco tra la titolare del locale e tre coppie di omosessuali. Questi i fatti: è circa la mezzanotte di domenica, i sei ragazzi sono seduti ad un unico tavolo, bevono e chiacchierano, due di loro si scambiano effusioni, un abbraccio e un bacio. In quel momento entra nella saletta nella quale si trova il gruppo la titolare che nota la scena e resta spiazzata. «Ma come, siete due ragazzi!» dice. E quelli candidamente ammettono l'evidenza: sì, siamo due maschi e allora? «Allora non comportatevi così!» incalza la donna. E scoppia il litigio che termina quando i sei lasciano il locale in malomodo, sbattendo la porta dopo aver gettato i soldi contro la cassa. I frequentatori del locale sono divisi: c'è chi prende le difese dei giovani gay e chi invece dà ragione alla titolare. E finalmente, a notte fonda c'è qualcosa di gustoso di cui parlare, anche perché gli omosessuali protagonisti si sono già visti al Cantinone (dove giurano di non voler mai più mettere piede) e perché alcuni di loro abitano ad Abbiategrasso.

 

 

Davide Gaggianese ha 29 anni, abita ad Abbiategrasso da due anni ed è omosessuale. Lo sa da quando era adolescente e crescendo non ha mai fatto mistero di questo suo modo di essere. Non ostenta, ma non intende farsi mettere i piedi in testa. Infatti lunedì si è rivolto ai carabinieri di Abbiategrasso dopo che due suoi amici, entrambi maschi, con i quali divideva il tavolo in birreria la sera prima erano stati rimproverati dalla titolare del locale, perché sorpresi in atteggiamento tenero. Essere gay ad Abbiategrasso. O a Vigevano, a Cisliano, ad Albairate... in una qualsiasi cittadina di provincia o addirittura in un paese, dove il numero di abitanti è ancora minore, dove ci si conosce tutti. Dove un segreto uno deve tenerselo davvero stretto perché rimanga tale. Ma perché poi tenerlo segreto?

«Perché per molte, troppe, persone uscire allo scoperto è impossibile; conosco ragazzi anche più giovani di me e conosco tanti adulti che hanno una ragazza, che sono addirittura sposati e che tuttavia hanno questa inclinazione: il rapporto con l'altro sesso è di facciata, sono i cosiddetti insospettabili, quelli che non possono rischiare di venir messi al bando come noi.»

Certo ci vuole coraggio, però per il momento ce l'hai avuto solo tu, gli altri non hanno reagito... Perché è difficile esporsi quando a scuola si è derisi, in famiglia non si riesce a spiegare. Tu però l'hai fatto.

«Sì, parecchi anni fa l'ho detto, ma capisco che altri non riescano e continuino a vivere nell'ombra. E cosa fanno? Dove si incontrano? E' gente costretta a vivere rapporti clandestini e per di più saltuari, gente che è cresciuta negando la propria natura e che quindi riesce a sfogarsi solo a livello sessuale, ma che non riesce a creare quel rapporto stabile che vorrebbe con un altro omosessuale. Gente che si incontra nei parcheggi o che si mimetizza in qualche locale milanese. Eppure è opinione diffusa che oggi sia più facile di un tempo accettarsi e farsi accettare in questa diversità. In realtà le cose non stanno così, almeno in provincia e quanto è accaduto l'altra sera è la dimostrazione che le differenze contano: a scuola mi prendevano in giro, in quel locale mi hanno chiamato checca. E al lavoro? Io lavoro in una ditta a Cisliano dove non ho avuto occasione di parlare ai miei principali delle mie inclinazioni sessuali. A qualche collega invece l'ho detto, è stata una cosa naturale quando si è parlato di uscire insieme e io ho presentato il ragazzo che sta con me. Da allora se ne parla quando capita, ma non abbiamo mai approfondito l'argomento. Lì non ci sono problemi, ma il fatto che in un bar si verifichi questo crea sofferenza e la soluzione non sta nel cambiare locale... non so, credo che una campagna di sensibilizzazione, una sorta di pubblicità e progresso sarebbe utile. Qui non siamo a Milano, qui facciamo paura, c'è disprezzo e allora per forza molti di noi finiscono per ostentare certi atteggiamenti, è un modo per ribadire che noi siamo fatti così».

 

 

Abbiategrasso. La signora Anna Leoni non ci sta a passare per razzista.

«All'antica forse sì, razzista no. Uno di quei ragazzi tra l'altro lo conoscevo perché aveva lavorato qui da me anni fa, quindi non parlatemi di discriminazione. E poi quelli erano tipi per bene, puliti, niente da dire, solo che quando sono entrata e ho visto che si baciavano in modo così... evidente non ho potuto trattenermi, ho detto loro che certe cose nel mio locale non volevo vederle, che al Cantinone si viene per bere, mangiare e chiacchierare, non per altro. Per ciò che stavano facendo loro ci sono i motel. A quel punto loro hanno reagito, si sono sentiti colti sul vivo, hanno parlato di parità... ma io non ne faccio una questione di maschi o femmine, per me i gay possono fare quel che vogliono, solo che certi atteggiamenti mi sembrano scorretti. Io mi sono accorta che anche gli altri clienti li stavano guardando e allora ho parlato. Tutto qua. E mi creda, ho cercato anche di non essere aggressiva. Una volta invece avevo sorpreso nel bagno un uomo e una donna che stavano... Beh, quella volta sì che li ho sbattuti fuori quei due. Domenica invece possono testimoniarlo tutti che io non ho assolutamente messo alla porta nessuno. Sono i ragazzi che invece hanno deciso di andarsene e per giunta minacciandomi».

La signora Anna è dispiaciuta per l'accaduto, ma ritiene anche di essersi comportata nella maniera giusta: «Gestisco questo locale da una vita, so cosa bisogna evitare per fare in modo che si trasformi in un posto malfamato e la frase che uno di loro mi ha buttato in faccia uscendo mi ha davvero ferita: “A causa di persone come voi” - mi ha detto – “ci sono giovani come noi che si ammazzano”. Ecco io non vorrei mai avere nessuno sulla coscienza, ma qui siamo in una birreria... insomma non in un posto da atti osceni...».

 

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