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Venerdì 26-Gen-2007
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Gialli risolti a Milano: due arresti per un assassinio e un ferimento
Il manager era tornato con un uomo nell’attico di piazza Mentana. I vicini hanno sentito dei rumori verso mezzanotte. Fermato il romeno con cui Ferrua era stato in pizzeria. La lunga giornata di interrogatori in questura. Sentite anche le sorelle e l’amica del cuore con cui andava al cinema e ai concerti.
Di Annalisa Camorani e Lorenza Pleuteri - “La Repubblica”, 21 Novembre 2003
Alle undici di sera, negli uffici della squadra Omicidi, le luci sono ancora accese. Nella stanza degli interrogatori del secondo piano, ormai da ore, sotto torchio c’è l’ultimo uomo con cui il manager pubblicitario Carlo Ferrua è stato visto vivo. È un romeno. È la persona con cui l’imprenditore di 55 anni, poco prima di essere ucciso nella sua mansarda di piazza Mentana 7, martedì sera è andato a mangiare una pizza. I detective hanno scovato l’immigrato e lo hanno portato in questura, dicendogli che era per la solita trafila prevista per gli stranieri, una faccenda di routine. Le foto segnaletiche di fronte e di profilo. La registrazione delle impronte digitali. Il controllo dei dati anagrafici, di eventuali precedenti penali, di altri controlli subiti in città. Ma la posizione dell’immigrato, da subito, oscilla tra quella di semplice testimone e quella di sospettato numero uno. Le domande sono un fuoco di fila, incalzanti. Il pm che segue l’indagine, Eugenio Fusco, viene aggiornato in tempo reale dell’evolversi della situazione, pronto ad attivarsi per un interrogatorio formale. Le carte in mano agli investigatori, per incastrare il romeno, sarebbero più d’una. La cena in pizzeria, innanzi tutto, sotto gli occhi di clienti e camerieri. E una certezza. Carlo Ferrua, martedì sera, a casa non è tornato da solo. Gay, «sessualmente disinibito», come dice un investigatore, non sembrava tipo da raccattare ragazzi di vita. In genere aveva relazioni con persone del suo ambiente, colte, raffinate, rassicuranti. Uno dei vicini conferma di averlo visto rientrare assieme ad un uomo più giovane di lui, di una spanna più alto, vestito bene, con «una faccia da pochi amici», da duro insomma, da cattivo. È la stessa persona della pizzeria? La questione, per chiudere il caso, sta in questa risposta. I tempi, in rapporto a quelli della cena, sembrano combaciare. Carlo Ferrua è stato ucciso intorno a mezzanotte. A quell’ora, è un altro solido riscontro, in attesa dei risultati dell’autopsia, l’inquilina del piano di sotto ha sentito dei rumori nella mansarda dell’imprenditore pubblicitario. «Capita a tutti di spostare un mobile, di lasciar cadere qualcosa, rovesciare una sedia - riferisce - Chi poteva pensare ad una tragedia del genere, alla colonna sonora di un omicidio? Era già successo che Carlo facesse un po’ di baccano, come avviene per tutti, spostando una scala o sbrigando qualche faccenda». C’è un altro elemento che induce a scartare l’ipotesi che nella casa del delitto possa essersi infilato un estraneo, un ladro. La porta della mansarda non ha segni di scasso. Il manager pubblicitario, dunque, è entrato assieme all’assassino, poi fuggito portandosi via le chiavi e bloccando l’uscio con la chiusura a scatto. Forse ha sottratto anche l’arma dell’omicidio, ma non è detto. I detective, in una storia che per questo ed altri particolari richiama il giallo di Fruttero e Lucentini, La donna della domenica, hanno prelevato suppellettili, statue e oggetti e li hanno consegnati ai colleghi della Scientifica, incaricati di esaminarli alla ricerca di tracce di sangue. Gli stessi specialisti hanno anche il compito di "leggere" le molte impronte digitali rilevate nella mansarda e di confrontarle con quelle del presunto colpevole. L’omicida ha frugato nell’appartamento, in disordine ma non completamente a soqquadro, con modalità che inducono a pensare più ad una messinscena che ad una rapina. Ha tolto dall’armadio i vestiti del manager e li ha buttati sul letto, però non ha rubato l’argenteria, né toccato o spostato le scatole con gli effetti personali del padrone di casa, possibile nascondiglio di soldi e valori. Ma ancora non è chiaro - perché parenti e conoscenti della vittima in questo non sono stati di molto aiuto - se siano spariti assegni, quadri, altre cose preziose e rivendibili. |
Gialli risolti a Milano: due arresti per un assassinio e un ferimento
“Gazzetta del Sud”, 22 Novembre 2003
MILANO – Un disperato rumeno di 21 anni, irregolare in Italia e già colpito da ordine di espulsione, e un piccolo imprenditore incensurato messo in ginocchio da un credito di centinaia di milioni che da dieci anni tentava invano di farsi pagare. Sono questi i responsabili dei due fatti di sangue di mercoledì scorso a Milano, e contemporaneamente risolti dagli investigatori della squadra mobile della questura di Milano in meno di 48 ore. Amicizie particolari per la prima. Per la seconda affari, fallimenti, lentezza della giustizia, crisi economica che porta alla disperazione e poi al pentimento: il responsabile si è infatti costituito anche se la polizia era già sulle sue tracce. Marion Neagu, romeno di Bacau, è un disperato che vive a Torino, in una casa abbandonata e campa di espedienti. Ruba e si prostituisce. Stavolta ha ucciso: ha confessato al pm Eugenio Fusco l'assassinio di Carlo Ferrua, l'imprenditore di 55 anni, single, trovato morto col cranio sfondato nella sua abitazione di piazza Mentana a Milano, mani e piedi legati. Un omicidio che è la fotocopia per situazione e soluzione di quello che ha avuto per vittima quindici giorni fa un gay brasiliano. Anche lì l'assassino era un «femminello» rumeno. A Neagu i poliziotti sono arrivati cercando nell'archivio elettronico un giovane rumeno «più alto della media e magro», così come era stato descritto da un testimone, un trentenne italiano che aveva partecipato alla prima parte della serata prendendo un aperitivo in un bar con Ferrua e il giovane straniero. L'uomo ha raccontato che i due, Ferrua e il suo giovane ospite straniero venuto da Torino avevano intenzione di proseguire la serata in una pizzeria. Poi l'imprenditore, che aveva conosciuto il rumeno a Torino e che l'aveva già incontrato alcune volte nel capoluogo piemontese, ha invitato il giovane nel suo appartamento. Qui, tra mezzanotte e l'una, è stato colpito alla testa da una pesante bottiglia di grappa champagne, recuperata dagli investigatori nel bidet dell'appartamento. La rapina, il movente dell'omicidio. Neagu ha rubato un televisore al plasma, un ciondolo prezioso, un computer portatile, un'agenda elettronica palmare, tutti oggetti di cui è stato trovato in possesso. Gli uomini della Mobile erano anche, contemporaneamente, sulle tracce del feritore di Alessio Giacomo Ponti, colpito gravemente alla testa da un proiettile di pistola la mattina del 19 novembre sotto il suo ufficio. Stavolta sono stati anticipati: Giuseppe Liberto, 59 anni, un piccolo imprenditore edile, incensurato, si è presentato spontaneamente al commissariato Cenisio ieri mattina. «Sono stato io – ha detto ai poliziotti – quell'uomo mi aveva rovinato». Liberto ha raccontato di aver avuto la vita rovinata dal fallimento di una delle aziende di Ponti, la «Ponti srl». Ha detto di avere un credito di 400 milioni che dal 1994 cercava inutilmente di riscuotere tra cause e tribunali e spese per gli avvocati. Un'avventura che – ha raccontato – lo ha portato al fallimento, a subire pignoramenti e protesti, senza più soldi per pagare i suoi due operai. Fino a fargli commettere un gesto disperato. |
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