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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Lavorava per una cooperativa che aveva in appalto alcuni servizi del Comune. La comunità gay in Internet si mobilita e solidarizza con Fabrizia

"Varesenews", 29 Gennaio 2005

 

Licenziata perché ha cambiato sesso. La denuncia è di Fabrizia B., 50 anni, assistente domiciliare di Uboldo. La donna lavorava per una cooperativa che ha in appalto un servizio di assistenza per il Comune, ma alla scadenza il contratto non le è stato rinnovato. La ragione del mancato rinnovo, secondo la donna, è stato il cambiamento di sesso e per questo motivo ha rivolto un appello per essere reintregrata al lavoro.

In realtà Fabrizia ha cambiato sesso, grazie ad un intervento e a una serie di cure, già all'età di 35 anni, però all'anagrafe è ancora registrata con il nome al maschile. Da pochi giorni ha affidato la pratica per il cambiamento del nome al suo avvocato. È da questo momento, secondo Fabrizia, che sarebbero iniziati i suoi problemi sul lavoro, facendole quindi nascere il sospetto che il mancato rinnovo potesse essere legato alla nuova identità.

Il sindaco di Uboldo esclude categoricamente che sia stato un licenziamento da parte del Comune. «C'è una grave imprecisione - dice Mario Piazza - perché questa donna non è mai stata una nostra dipendente, perciò noi non potevamo licenziarla. Lavorava per una cooperativa che aveva in appalto alcuni servizi del Comune e sostituiva una lavoratrice che era in permesso per maternità. Una volta rientrata non le è stato rinnovato il contratto. Per alcuni mesi ha fatto l'assistente domiciliare ad un anziano che poi ha espresso il desiderio si essere seguito da un vicino di casa. È il problema che hanno molti altri lavoratori, quello di reiserirsi nel mercato del lavoro, mi rendo conto che è difficile e per questo l'abbiamo anche messa in contatto con lo sportello dell'informalavoro di Saronno».

Fabrizia, che tra l'altro frequenta assiduamente un gruppo di preghiera, è stata dichiarata invalida al 90 per cento cinque anni fa a causa di una malattia, condizione che le garantisce un assegno di 230 euro mensili.

Il tam tam internettiano si è messo subito in moto e così il portale gay.it ha messo in prima pagina una petizione, invitando i lettori alla sottoscrizione per inviare all’amministrazione comunale di Uboldo un testo di protesta. L’obiettivo è raggiungere le duemila mail entro 24 ore.

 

2 Febbraio 2005

 

Se il comune non mi aiuterà ho già deciso di non assumere più i farmaci vitali contro il mio male. E’ questa la forte confessione fatta da Fabrizia al celebre portale Gay.it, su cui prosegue in questi giorni la polemica che ha sconvolto il paese di Uboldo. Come infatti è già stato raccontato il 30 gennaio su Varesenews, Fabrizia B., 50 anni, ha accusato di essere stata licenziata solo perché ha avviato le pratiche burocratiche per il cambiamento di sesso. Già all’età di 35 anni, infatti, Fabrizia ha subito alcuni interventi chirurgici per diventare donna: ora che il cambiamento è stato ultimato si tratta solamente di cambiare quella “o” di Fabrizio in una “a”, sulla carta di identità. A rendere più scottante la denuncia era il fatto che l’agenzia per cui lavorava era una cooperativa con appalti dal Comune. Ma la versione dei fatti data dal sindaco, Mario Piazza, a seguito delle 500 email di protesta raccolte da Gay.it è differente. Secondo Piazza, infatti, Fabrizia lavorava per il comune solo con un contratto a termine, in sostituzione di una maternità. Quindi, al rientro della lavoratrice sostituita, era naturale che il contratto non sarebbe stato rinnovato. Inoltre il sindaco ha fatto notare che il comune non ha “abbandonato” la donna, avendola messa in contatto con lo sportello Informalavoro di Saronno. Ma nonostante queste giustificazioni la vittima del licenziamento non si dice soddisfatta e oggi racconta, attraverso il portale, la difficoltà della sua situazione. A Fabrizia, infatti, cinque anni fa è stata diagnosticata anche una malattia grave, per la quale le è stata certificata un’invalidità del 90%. Senza il suo lavoro da assistente domiciliare ora deve vivere con i soli 230 euro mensili della pensione di invalidità. E in fondo rimane vivo il dubbio di essere stata licenziata per una semplice, ma per lei importantissima, “a”. E quindi arriviamo alla dichiarazione forte e forse un po’ provocatoria: «Ho già deciso di non assumere più i farmaci vitali contro il mio male se il Comune non mi aiuterà. Il lavoro è un mio diritto».

 

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