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Venerdì 26-Gen-2007
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MONTEVERGINE, FUORI PROGRAMMA DEL VESCOVO NAZZARO: "USCITE, PROFANATE LA CASA DI DIO". L’ABATE CACCIA I "FEMMINIELLI"
Di Eleonora Bertolotto - "La Repubblica-Campania", 3 Febbraio 2002
Sarà che gli hanno fatto male le voci, sempre più insistenti, che danno ormai per certa la soppressione della sua diocesi, sarà che le "dimissioni" improvvise di cinque novizi lo hanno particolarmente irritato, ma ieri l’abate di Montevergine, Tarcisio Nazzaro, se n’è uscito con un fuori programma recitato durante la messa contro i "femminielli" che affollavano la chiesa, come ogni anno, in occasione della Candelora. "State profanando il tempio di Dio, e le vostre preghiere non sono gradite", è sbottato dall’altare, involontariamente distribuendo in eguale misura indignazione fra quanti tra i presenti erano oggetto della rampogna e costernazione fra quanti vi assistevano senza capire l’improvviso giro di vite. La presenza dei "femminielli" a Montevergine per la festa del 2 febbraio è quasi una tradizione: cantano, ballano, pregano, in una mescolanza di devozione e colore che è sempre stata tollerata dai padri Virginiani cui è affidata la cura del santuario fondato da San Guglielmo. L’ha tollerata sempre anche monsignor Nazzaro, sessantasettenne, che è abate e vescovo della più piccola diocesi d’Italia (e la più antica dell’Irpinia) da ben cinque anni. Ma ieri è accaduto ciò che nessuno, né "femminielli" né fedeli, si aspettava. Come sempre, la processione della Candelora è uscita dalla cripta del santuario attraversando la piazza per raggiungere la chiesa. In testa il vescovo, in coda i fedeli, si è imbattuta in un vistoso gruppo di travestiti che stavano ballando tammurriate e tarantelle dedicate alla Madonna ("mamma Schiavona") in attesa di entrare per assistere alla messa. A uno dei padri verginiani dev’essere saltata la mosca al naso. Così ha afferrato un megafono e ha cominciato a gridare: «Vergogna, vergogna!». E in chiesa il vescovo ha ritenuto di esplicitare la rampogna. Ai "femminielli" venuti per assistere alla messa ha detto dall’altare: «Le vostre non sono preghiere ma chiassate che la Madonna non gradisce e dunque non può accogliere. E voi siete come i mercanti che affollavano il tempio fino a quando Gesù non li scacciò». Un brusio di indignazione ha percorso la piccola folla dei malcapitati, un silenzio di sconcerto la grande folla dei fedeli. La messa è proseguita senza altri problemi e monsignor Nazzaro, forse rendendosi conto di aver rotto una tradizione di tolleranza, ha confidato in sacrestia ai collaboratori: «Non ho niente contro nessuno e non ho voluto offendere nessuno, tanto meno questi particolari devoti. Ma quel che troppo è troppo, ci vuole un po’ di rispetto per un luogo sacro, e la dignità del santuario va preservata». D’altra parte, qualche ragione di nervosismo va riconosciuta anche al buon abate che da alcuni anni ha la gestione di un caso spinoso come quello del prete no-global più disobbediente d’Italia, don Vitaliano della Sala, parroco di Sant’Angelo a Scala, che tutti ormai conoscono come caso unico (o unico caso dichiarato) di sacerdote italiano "zapatista", più volte ammonito ed oggi ridotto al silenzio, pena la sospensione a divinis. Ma don Vitaliano non è l’unica spina nel fianco del vescovo Nazzaro. Altre disavventure gli sono toccate negli ultimi mesi, e tra queste l’abbandono del santuario da parte di cinque novizi, avvenuto per svariati motivi: ragioni caratteriali in qualche caso e (si dice) ragioni sentimentali in qualche altro, se è vero che una di queste "fughe" è stata accompagnata dalla scomparsa di una giovane suora straniera che viveva al convento. Infine le voci sempre più insistenti di soppressione della diocesi, ufficialmente motivata dalla sua esiguità e dalla necessità di accorpamento che si impone anche alla Chiesa (i sacerdoti che oggi dipendono da Montevergine convergerebbero dopo Pasqua su Avellino), ma probabilmente vissute con qualche disagio, specie in considerazione dell’antichità della diocesi, stretta attorno a una chiesa millenaria, sede di una Madonna guardata con devozione da tutta la Campania. |
Storia d’amore, con lieto fine? CITY ANGELS
Di Mario Furlan - “Corriere della Sera”, 5 Gennaio 2003
Questa è una storia d’amore. Ma non la solita storia tra lui e lei, qui i protagonisti sono due uomini. Omosessuali? Non lo so, e non importa. Ma di amore, di amore fraterno, si tratta. Come lo spieghereste altrimenti il sentimento che li ha portati a vivere, e a essere pronti a morire, insieme sulla strada? Paolo ha 55 anni, Vittorio 64. Non sono vecchi ma lo sembrano, dopo otto mesi da clochard. Otto mesi in sacchi a pelo dopo la morte della madre di Paolo e lo sfratto dalla casa Aler in cui abitavano tutti e tre. Otto mesi accampati prima in una scuola abbandonata in piazzale Abbiategrasso, alla periferia sud di Milano, e ora sotto la tettoia della biblioteca di via Boifava, al Gratosoglio. Quando leggerete questo articolo, speriamo che non saranno più all’addiaccio. Perché sono allo stremo. Paolo è grande e grosso, ma il suo fisico robusto è stato minato dalle notti sotto la pioggia battente, e soffre di flebite. Comunque stringe i denti perché il suo compagno Vittorio ha bisogno di lui. Come potrebbe altrimenti, quell’ometto curvo e mingherlino, il viso incavato, la tosse che lo scuote, tirare avanti senza il suo amico del cuore? Che di notte lo stringe tra le braccia, lo accarezza e lo coccola come si fa con un bambino. E Vittorio, tremante per il freddo, trae abbastanza calore per addormentarsi sul suo petto. Tutte le sere i City Angels passano davanti alla biblioteca con il loro furgone e scaricano cibo e bevande calde per i due. Che fino a qualche settimana fa erano in tre, con Tobia, il loro cagnolino. L’hanno dovuto affidare, a malincuore, a una gentile signora, perché nei dormitori pubblici non accettano animali, nemmeno da compagnia. Ma anche senza cane Paolo e Vittorio non hanno trovato posto. Perché con questo tempaccio i dormitori sono tutti pieni. Al massimo c’è posto per una persona sola in ciascun dormitorio; ma loro due non si vogliono separare. Di giorno i due amici raccattano qualche soldo facendo volantinaggio. Non hanno trovato di meglio, perché i datori di lavoro vogliono gente sana e presentabile. Loro, invece, sono malaticci, sporchi e laceri. Ma le lacerazioni più profonde le hanno dentro. L’altra sera, agli Angeli che gli portavano coperte, Paolo ha detto: «Non ce la facciamo più, questa non è vita, meglio la morte. Meglio morire con dignità che vivere da disgraziati. Abbiamo vissuto insieme, moriremo insieme». Non cercano elemosine. Chiedono lavoro. Un lavoro vero, che consenta di campare. E di affittare un appartamentino in periferia dove Tobia sia accettato. Se potete darglielo, telefonate ai City Angels, al numero 02.29 52.2202. Sempre che non sia troppo tardi. |
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