|
Contattaci! |
Aggiornato
Venerdì 26-Gen-2007
|
Parla il nipote del senzacasa eroe. «Emarginato per la sua omosessualità, di cui era felice». Il clochard che ha salvato 5 ragazze è stato una «vittima dell’intolleranza». Il nipote: deriso e scacciato da tutti perché gay, fuggì due volte come un appestato per rifarsi una vita. Un omosessuale, un diverso, un travestito. Questa è la verità che adesso nessuno vuol ascoltare e tutti fingono di non conoscere" Di Carlo Vulpio - "Corriere della sera", 17 Dicembre 2003
MASSAFRA (Taranto) - «Mio zio ha lasciato il suo paese perché era deriso da tutti. Questa è la verità che nessuno vuole ascoltare». Parla Angelo, uno dei nipoti di Natalino Morea, il senzacasa che a Roma è in fin di vita, massacrato a sprangate per aver protetto alcune ragazze da un tentativo di rapina. Angelo Morea racconta al Corriere l’odissea di un uomo emarginato nel suo paese, in Puglia, perché «è un omosessuale, felice di esserlo». Ultimo di sette figli, nato nel 1946, Natalino lasciò Massafra nel ‘77 per trasferirsi a Milano, dove lavorò in una fabbrica di bigiotteria. Quando questa lo licenziò, tornò a casa, provò ad aprire una sala giochi, che fallì. «Gli hanno fatto male in tutti i sensi», dice il nipote. E’ stato un eroe, dicono tutti di Natalino Morea. Ed è vero. Ma quando si scopre com’è stata la vita di Natalino fino al giorno in cui lo hanno pestato a sangue, allora è difficile non riconoscere che quel «barbone» che a Roma ha preso le difese di cinque ragazze molestate da due bulli (o erano un branco?, sta cercando di capire il magistrato) è un eroe due volte. Perché, ecco la triste verità, Natalino Morea ha un segreto. Che in realtà non è un segreto, ma un tabù. «Mio zio Natalino è un omosessuale, un diverso, un travestito. Deriso e scacciato da tutti, è andato via come un appestato, questa è la verità che adesso nessuno vuol ascoltare e tutti fingono di non conoscere». E’ commosso e arrabbiato, Angelo Morea, uno dei nipoti di Natalino, forse la persona che più di ogni altra gli ha voluto e gli vuol bene. Temeva che un giorno o l’altro qualcuno avrebbe fatto del male a quel suo zio un po’ eccentrico, ma sempre allegro, incapace di far male a una mosca e del quale era diventato amico, non più un semplice nipote. Un barbone, e per giunta gay, è il ragionamento di Angelo Morea, che fa l’operaio ma non è una persona incolta, è un eroe due volte se insorge per difendere la vittima di un sopruso. Ma il fatto che Natalino non si sia adeguato a quel «totalitarismo dell’indifferenza» che sta svuotando le nostre vite e sta prendendo sempre più il posto di altri nefasti totalitarismi non è propriamente una cosa di cui a Massafra vanno fieri. Sì, il gesto è stato un nobile gesto, per carità, tutti d’accordo, ma in fondo questo Morea Natale, classe 1946, ultimo di sette figli, mamma e papà contadini, chi lo conosce? Anzi, a pensarci bene non lo conosce nessuno. Nemmeno gli amici di gioventù che lo invitavano ad andare a prostitute insieme con loro, come prova collettiva di virilità, e ai quali Natalino, per non sfigurare, nascondeva la verità. Giunto il suo turno, pagava la signora e la pregava di non dir nulla agli altri, se lui per quella sera e poi per tutte le altre sere non avrebbe consumato. Era giovane, Natalino, un ragazzo di ventuno anni, quando decise di andarsene a Milano. Correva l’anno 1977, l’anno del Movimento e degli Indiani metropolitani e dell’Autonomia operaia. Natalino poteva dire che se ne andava nella grande città del Nord per la politica e la contestazione. O per trovarsi un lavoro. Invece no, confessò a suo nipote che se ne andava per vivere la sua vita, perché era gay e questo gli dava felicità, e poi perché era stufo. Non ce la faceva più a sentirsi chiamare «ricchione», una parola che gli rivolgevano sempre con cattiveria. E adesso, fatta la scoperta d’avere in casa un eroe, nessuno sa chi è e soprattutto com’è Natalino Morea. Nemmeno i suoi familiari. E allora ecco che la vita agra e semplice di Natalino - un lavoro in una fabbrica milanese di bigiotteria che chiude e lo licenzia e poi, sette anni fa, il tentativo di tornare al paese, dove apre una sala giochi - viene raccontata come la vita misteriosa di una persona strana. Persino la sua seconda fuga dal paese, dove riesce a resistere un anno, viene motivata «per i troppi debiti». Bugie. Natalino fuggiva, ancora una volta, dal disprezzo. «E se fossi nato storpio, invece che gay?», urlò una volta, piangendo. «Sarebbe stato meglio», gli risposero. E Angelo, che sentiva queste cose di suo zio fin da quando era un bambino e non capiva, decise che un giorno avrebbe scoperto la verità. Aspettò e diventato maggiorenne prese un treno per Milano. Da quel momento, scoprì anche un grande amico. «Ridemmo insieme di tutti i pregiudizi, anche dei miei, e capii quanto valeva quell’uomo», dice Angelo. Risero anche del nome, Natale, che gli avevano dato perché era nato il 24 dicembre. Raccontò Natalino che c’è una leggenda, secondo la quale i nati nella notte di Natale sono destinati a trasformarsi in lupi mannari. «Guarda qua invece come riesco a trasformarmi io», disse Natalino. E mostrò ad Angelo alcune foto che lo ritraevano vestito, anzi travestito, da donna. «Dov’era il male?» - dice Angelo - «Quello che gli hanno fatto, in tutti i sensi, quello sì, è il male». |
DA TUTT’ITALIA SONO GIUNTE PAROLE DI CORDOGLIO E GIORNALI E TV LO HANNO RICORDATO
Di Antonio Rotelli lunedì 22 maggio 2006
Il 17 maggio, una data significativa per le persone omosessuali perché si celebra la giornata della lotta contro l’omofobia, presso l’ospedale civile di Massafra (TA) si è spento il Sig. NATALE MOREA. Ieri, 18 maggio, passando davanti al portone di quell’ospedale, mi capitava di leggere distrattamente, quasi per caso, il suo nome su un manifesto funebre. Non sapevo se fosse in realtà proprio lui, anche se l’età, 59 anni, era proprio la sua. La telefonata ad un amico mi confermava che non mi ero sbagliato, così poco prima di pranzo mi sono recato nella chiesa dove era stata trasportata da poco la salma per dargli un ultimo saluto. Nella chiesa c’erano le sue sorelle e poche altre persone, sulla bara dei fiori. La piccola chiesa così vuota mi sembrava improvvisamente troppo grande, troppo alta e la sua bara posta ai piedi dell’altare troppo sola. Mi sono chiesto perché non ci fosse nessun rappresentante della città: la città di Massafra doveva esserci per salutarlo almeno simbolicamente! Dopo qualche minuto di raccoglimento, ho contattato gli uffici comunali e con meraviglia ho scoperto che nessuno era al corrente della sua morte. Mancavano poco più di due ore al rito funebre, ma sentivo che l’Italia non poteva non dirgli grazie per l’ultima volta. Così la notizia in pochi minuti ha fatto il giro d’Italia e le toccanti parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, hanno saputo esprimere bene il cordoglio di tutti: « L'Italia non lo dimenticherà. Ricordo con gratitudine ed emozione Natale Morea. La figura di un eroe senza casa è scolpita nella memoria collettiva ». Credo che tutti ricordino la vicenda di Natale, definito l’eroe senza casa, che la notte del 14 dicembre 2003, a Roma, salvò alcune ragazze da un tentativo di violenza, venendo aggredito a sua volta e ridotto in fin di vita dagli aggressori. Il Presidente della Repubblica emerito, Carlo Azeglio Ciampi, gli conferì a pochi giorni di distanza la medaglia d’oro al valor civile. Dopo i mesi di coma, Natale era tornato a vivere nella sua città, Massafra, ospite delle sue sorelle, continuando ad essere curato, perché da quell’aggressione non era mai guarito del tutto. Era tornato a vivere proprio in quella città, che poi è anche la mia, che molti anni prima aveva voluto lasciare perché poco solidale e comprensiva verso di lui. Aveva deciso di lasciarla perché era stanco di essere oggetto di scherno perché omosessuale. Da allora la vita per lui non era stata facile e tra mille difficoltà, peregrinazioni e tentativi, era finito a vivere barbone per le strade di Roma. E proprio in una di quelle strade aveva dato la grande prova di abnegazione, salvando la vita altrui a rischio della propria. Non aveva avuto nessuna esitazione. Con quel gesto non solo aveva dimostrato a tutta l’Italia il proprio personale valore, ma ci aveva spinti a provare un po’ di vergogna per la scarsa attenzione che portiamo verso le persone che poniamo ai margini della nostra società. Con un solo gesto ci aveva fatto riscoprire la dignità che è in ogni persona e aveva attirato la nostra attenzione su un punto fondamentale della sua esistenza. Se non fosse stato una persona omosessuale oppure se la comunità nella quale era nato e cresciuto non lo avesse offeso e deriso per il suo orientamento sessuale la vita sarebbe stata più serena per lui? Avrebbe avuto un percorso diverso? La sua storia ci colpevolizza molto. Allora vengono alla mente tanti discorsi sentiti e letti, triti e ritriti, in tutti questi anni. Perché l’Italia dovrebbe dotarsi di una legge antidiscriminatoria che tuteli le persone omosessuali? Perché dovrebbe riconoscere alle coppie omosessuali pari diritti? Forse l’esperienza di Natale ce lo ha insegnato. Chi non viene accettato per quello che è, chi non viene rispettato anche per la sua diversità, chi si sente cucito addosso un differente status di cittadinanza, spesso è più esposto di altri ai cattivi venti della vita perché è più solo di altri; ha una croce in più da sopportare; ostacoli in più da sormontare. Eppure sarebbe facile essere più accoglienti, provare a conoscere l’altro, ri-conoscersi in lui e mettersi a sua disposizione, non ostacolarlo, ferirlo, ingannarlo. Ci sono tante diversità, tanti modi di essere e di apparire, ma bisogna riconoscere la diversità e lavorare per una società più inclusiva che dalla diversità sappia trarre ricchezza e sviluppo. Una società nuova. L’omosessualità non è un mostro di depravazione. Ormai è acquisito alla nostra coscienza sociale e giuridico-occidentale il concetto di omosessuale quale persona sana, normodotata, ricca di dignità e valore. Forse è solo la parola omosessuale a creare ancora confusione: a far confondere e far pensare che sulla declinazione ‘sessuale’ vada posto ogni accento e individuata la radice di qualcosa di negativo. Non è così; i gay sono diversi solo perché amano in maniera diversa rispetto a quella modalità di amore che fino a poco tempo fa sembrava l’unica possibile, l’amore tra un uomo ed una donna. Non sono gli atti sessuali a fare la differenza e a fare l’uomo, ma sempre e solo l’amore. Allora si capisce perché ci sia urgenza di una legge antidiscriminatoria e di una legislazione in campo familiare che non escluda più i gay. L’emarginalizzazione, anche giuridica, distrugge delle vite. Se l’amore tra le persone gay fosse protetto e incentivato, anche se si volesse credere che si tratti di amore debole, si offrirebbe a migliaia di donne e di uomini la possibilità di costruire il proprio futuro, la propria famiglia e di inseguire un sogno che tornerebbe a vantaggio dell’intera società. Nessuno potrà dimostrare che l’amore omosessuale sia improduttivo o segno di egoismo. Se la discriminazione verso le persone gay fosse punita, forse Natale sarebbe rimasto a Massafra, non sarebbe fuggito, forse lì si sarebbe creato la sua speciale ed unica famiglia e avrebbe contribuito con il proprio lavoro alla crescita della propria comunità. Forse, appunto. Però il suo eroico gesto non ci fa esitare nel dire che è molto probabile che potesse andare così. Era una persona di valore. Al funerale di Natale era presente il gonfalone della città di Massafra, in rappresentanza di tutta la cittadinanza massafrese. Un piccolo modo simbolico per ringraziarlo ed anche chiedergli scusa. La chiesa si è riempita pian piano, una voce calda che ha cantato la messa faceva credere che davvero gli angeli stessero per trasportare Natale su nel cielo. Da tutt’Italia sono giunte parole di cordoglio e giornali e tv lo hanno ricordato. Gli anni settanta del novecento sono lontani; Massafra oggi non è più quella città dalla quale Natale era fuggito, anche se qui di omosessualità si parla ancora troppo poco e niente si fa a favore delle persone omosessuali. C’è bisogno di un cambio culturale, c’è bisogno di amare di più. |
Le
immagini, se non diversamente segnalato, sono prevalentemente tratte
da materiali fotografici e grafici preesistenti modificati e riadattati
dall'autrice. La riproduzione parziale e non a scopo commerciale del
materiale pubblicato (immagini e testi) è consentita citando
la fonte (indirizzo web) e l’autore (Cinzia Ricci o altri), diversamente
tutti i diritti sono riservati.
Questo sito, testato principalmente con Firefox, Internet Explorer e Safari, è privo di contenuti dannosi per i computer. On-line dal 2003, nel 2015 diviene antologico, da allora non viene aggiornato. Gli odierni Browers non supportano più gran parte dei materiali multimediali prodotti prima di tale anno, le numerose pagine che sembrano vuote in realtà contengono tali contenuti ormai non più fruibili - ne siamo dispiaciuti. Risoluzione schermo consigliata: 1024x768. |