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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Di Enrico Oliari, Novembre 2001

 

Una delle ragazze aggredite

Sembra incredibile, ma a Bolzano, nella pacifica e perbene Bolzano, si può essere aggrediti due volte nella stessa sera. Gli ingredienti della vicenda? Un balordo, dieci giovinastri e due ragazze. Lesbiche.

Stefania e Rita sono due ragazze che non hanno mai fatto mistero della loro omosessualità, perché si sentono dignitosamente amanti e perché si ritengono due esseri normali con le aspettative di tutti. Stefania è editrice (Gander edizioni) e Rita ha scritto un libro uscito nel maggio scorso (“Da donna a donna”).

I fatti.

Le due amiche, ed amanti, partecipano alla serata lesbica organizzata presso la sede di Arcigay Centaurus ed a un certo punto un balordo scaglia una bottiglia nella sala dell’incontro, rompendo una finestra. Le ragazze escono ed invitano l’uomo ad andarsene, ma questi, in preda a chissà cosa, molla pugni e calci. Stefania viene colpita al mento, Rita viene strattonata e percossa. Sembrerebbe già abbastanza, ma un paio di ore dopo vanno verso casa, tranquille e quasi dimentiche di quanto era successo poco prima. La cagnetta Laika annusa ogni angolo della strada, mentre loro due si scambiano un bacio e qualche carezza. Improvvisamente il finimondo: dieci ragazzi di madrelingua tedesca (altoatesini) le insultano, si dirigono verso di loro e le pestano per bene.

Stefania, cos’è successo?

«Indubbiamente nella prima aggressione era un balordo, penso che avrebbe fatto lo stesso se fosse stata una riunione di testimoni di Geova. Non ci siamo preoccupate tanto per lui: la vera violenza è stata fatta dopo.»

Rita, la stessa domanda anche per te.

«Sì, insulti di ogni genere, rivolti a noi come lesbiche. Ricordo le loro voci e solo ora mi rendo conto della loro carica aggressiva: “lesbiche di merda, non avete mai provato il cazzo?”. Io mi sono avvicinata ad uno di loro, ma lui ha continuato ad insultarmi. Sono scesi da due macchine, in dieci, mi hanno sbattuto contro una macchina, ho preso un pugno allo stomaco e quindi sono finita per terra. Addosso a me si è scaraventato uno che mi ha preso per il collo e mi stava strangolando. Quindi è intervenuta Stefania, che però è stata presa a calci e pugni. Qualcuno di loro incitava gli altri, un paio li invitavano a fermarsi “perché”, dicevano, “sono solo due lesbiche”. Poi è arrivata la polizia, sono scappati. Eravamo sotto shock.»

Li avete denunciati, immagino…

«Sì, ma sembra addirittura che manchi il verbale dell’intervento delle Forze dell’ordine.»

Fin qui il fatto di cronaca. Cosa può essere all’origine di tanta violenza?

«Indubbiamente la loro omofobia, l’ignoranza. Ho cercato di dare una motivazione a quanto successo, chessò, colpa della società, della loro voglia di trasgressione, ma tutto è stato causato dal loro odio per le persone omosessuali.»

Stefania: tu a cosa dai la colpa di quanto successo?

«Ci sono colpe dirette e colpe indirette. Chi ci ha fatto del male, quella sera, ha una colpa diretta. Ma a Bolzano c’è una società maschilista che ancora vede nella donna un oggetto. Da qui a due anni, probabilmente, quei dieci si sposeranno ed avranno una famiglia, rientreranno nei canoni e per loro non cambierà nulla. Poi, più in generale, in Italia non è stata approvata la legge antidiscriminatoria nei confronti delle persone omosessuali che, se ci fosse stata, avrebbe fatto sì che ad occuparsi del caso fosse stata la DIGOS, mentre la polizia ordinaria ha pure dimenticato di stilare il rapporto dell’aggressione. Ed infine do la colpa ai vari Bossi, Storace e Prosperini, che contribuiscono alla crescita del livello di omofobia nella società ad ogni battuta che esce dalla loro bocca.»

Avete sentito vicina la comunità gay bolzanina?

«Titti de Simone e Franco Grillini, deputati, hanno presentato un’interpellanza al ministro Scajola. GayLib si è dimostrata solidale e si è subito data da fare con la stampa, come Arcilesbica ed il gruppo Centaurus. Abbiamo inoltre ricevuto una moltitudine di telefonate e di e-mail da persone che volevano esprimere solidarietà nei nostri confronti. Così ci sono state vicine le Donne dei Verdi, la Sinistra Giovanile ed abbiamo ricevuto persino una lettera di Giorgio Holzmann (consigliere prov. Alleanza Nazionale, ndr), il quale si è molto rammaricato per l’accaduto: la solidarietà non ha colore.

Il fatto è che quello che facciamo noi non è ostentazione, siamo due donne normali e, come tali, vogliamo sentirci libere.»

Rita, nessuno, a parte questo fatto, vi ha mai dimostrato sufficienza o condanna per il fatto che siete lesbiche?

«Voci che non ci ha fatto piacere sentire, ce ne sono arrivate, anche da parte di persone omosessuali. Ad esempio, c’è stato chi, dopo l’aggressione, ci ha detto che abbiamo sbagliato a scambiaci qualche secondo di tenerezza in strada, anche se in verità erano le tre di notte e non passava nessuno. A volte la chiusura sta proprio fra noi omosessuali.»

Tu, Stefania, scrivi articoli coraggiosi sulla liberazione dei gay e delle lesbiche in una società, quella altoatesina, “multitutto”, dove le differenze fra le etnie, i pensieri ed altro non dovrebbero esistere.

«In realtà diversi episodi, accaduti di recente, dimostrano che vi è molto ancora da fare in tema di tolleranza. Oltre agli episodi di violenza che ci hanno riguardato, vi sono anche retate al parco Petrarca, aggressioni di cui nessuno parla. Francamente non capisco come possano accadere questi fatti in una città in cui ognuno fa i fatti propri. Magari si tratta solo di una teoria, di una società dipinta in un modo, ma che in realtà si basa su un humus di insoddisfazione o di paura del diverso. Se guardi gli episodi di violenza sono in aumento e non compiuti da extracomunitari o da balordi, ma da bolzanini, da gente di qua. Io credo nella lotta alla discriminazione e che essa vada fatta anche nella Bolzano del XXI secolo. Per questo abbiamo dato vita ad un’associazione per lesbiche, Aimée e Jaguar.»

Recentemente, Rita, hai pubblicato un libro dal titolo “Da donna a donna”, incentrato sulle tue esperienze personali. Lo trovi attuale anche dopo il grave fatto di violenza che avete subito?

«Sì, rimane attuale, anche perché sono cose che, purtroppo, accadono sempre. Le donne devono prendere coscienza del loro ruolo nella società, dove sono strumentalizzate e ritenute semplici oggetti. Esse devono lottare per un’emancipazione che, a quanto sembra, ancora non c’è stata del tutto.

 

"Alto Adige", 16 Ottobre 2001

 

BOLZANO. INTOLLERANZA. PARLA LA COPPIA LESBICA AGGREDITA. «LASCIATE SOLE E GIUDICATE». LA DENUNCIA: «C'È CHI DICE CHE CE LA SIAMO CERCATA»

 

BOLZANO. «La nostra vita è cambiata. Adesso abbiamo paura anche della nostra ombra». C'è amarezza nelle parole di Stefania e Rita, le due lesbiche pestate selvaggiamente venerdì 6 ottobre da un "branco" di dieci ragazzi tra i 20 e i 30 anni. «E se è vero - proseguono - che abbiamo ricevuto tanti attestati di solidarietà, è altrettanto vero che c'è anche chi dice che ce la siamo cercata, che non dovevamo andare in giro tenendoci per mano. Insomma, la colpa, alla fine, è solo nostra».

BRANCO. Una denuncia contro ignoti. Sette giorni di prognosi a testa per contusioni, lesioni, abrasioni. Quella notte le aggressioni erano state due nel giro di poche ore: la prima davanti al circolo gay Centaurus, la seconda, quella più bestiale e culminata in un vero e proprio pestaggio, al parcheggio dell'ex monopolio all'inizio di via Dante. «L'autore della prima violenza - dice Stefania - è stato identificato dalla Polizia. Ma contro di lui non sporgeremo denuncia. E' un clochard, un povero cristo. Se l'è presa con noi, ma avrebbe colpito chiunque gli fosse capitato a tiro. Noi vogliamo invece che venga individuato (e punito) il branco che ha colpito al parcheggio. Quei ragazzotti volgari che ci hanno prima offese e umiliate, e poi menato solo perché siamo lesbiche. Abbiamo deciso di denunciarli proprio perché non devono passarla liscia». Le due donne rivolgono un appello: «Chi ha visto ci aiuti ad identificare gli aggressori: quella sera un giovane ha chiamato il 113. A noi ha detto di essere un carabiniere. Lo invitiamo a mettersi in contatto con la polizia. La nostra speranza è che si sia segnato il numero di targa delle due auto della banda. Abbiamo sbagliato solo una cosa: saremmo dovute andare subito al pronto soccorso e a sporgere denuncia. Ma eravamo così sconvolte che l'unico pensiero è stato quello di rientrare a casa, al sicuro».

PAURA. «Da quella sera maledetta la nostra vita è cambiata - dice Rita, occhi lucidi, minuta, capelli corti biondo cenere -. Da quando ci hanno assalite, le notti si sono trasformate in un inferno. Non dormiamo. Ci sentiamo osservate». Le due ragazze abitano vicino al luogo dell'aggressione. Quella notte erano scese a portare fuori il cane. «La sera - continua Rita - scelgo percorsi alternativi per rientrare a casa. Quando parcheggio cerco con lo sguardo quelle macchina, in particolare la Golf rossa. Una vecchia Golf...Da quell'auto è sceso l'uomo che mi ha dato un pugno allo stomaca, e poi ha cercato di strangolarmi. Cerco quell'auto per due motivi: perché mi terrorizza l'idea di trovarmelo ancora di fronte, ma anche perché vorrei guardarlo in faccia, riconoscerlo, denunciarlo con nome e cognome».

Stefania tormenta con le mani i ciuffi ramati: «Non riesco più a lavorare - racconta -, perdo subito la concentrazione. Penso a quei ragazzi, a quello che dicevano. Ogni giorno che passa è sempre peggio. Nelle ore dopo l'aggressione ero per aria, come paralizzata. Cercavo di minimizzare con frasi del tipo "sono cose che accadono, poteva andare peggio". Adesso mi è rimasta solo la paura. E come se avessimo capito che siamo vulnerabili, che questa città che sembrava protettiva e tollerante, di fatto, non lo è».

COLPA. «Qualche giorno fa - racconta Stefania - ho letto le dichiarazioni di un noto teologo altoatesino che ridimensionava quanto successo. Diceva che i ragazzi erano ubriachi. Che bisognava vedere come erano andate veramente le cose. Minimizzava. Giustificava. Ho trovato le sue parole offensive. Ma purtroppo, questo, è un atteggiamento diffuso, che abbiamo vissuto più volte in queste ore. Si accampano mille scuse, forse perché sono "bravi ragazzi" provenienti da qualche vallata». Rita parla di una battaglia solitaria: «Purtroppo c'è chi vuole farci sentire sporche, come se la colpa fosse nostra. Ci sentiamo giudicate. Mia madre non mi parla più. Della mia famiglia non mi ha chiamato nessuno, neanche una telefonata per chiedermi come sto, se ho preso dei ceffoni o una carezza... Molti ci hanno posto domande umilianti. Perché eravate in giro a quell'ora? Perché vi tenevate per mano? Perchè vi siete baciate? Perché avete riposto alle offese? Capisce?, il "branco" lo abbiamo provocato noi... Una delusione enorme. Delle amiche sono arrivate a dirmi che dovevamo stare in silenzio, che dobbiamo vivere la nostra vita senza che gli altri sappiano niente. Nascoste per non disturbare». In certi momenti, spiega ancora la coppia, è forte la voglia di mollare tutto, di fare un passo indietro. «Ma dura solo un istante. L'altro giorno ci ha telefonato un amico gay, un bolzanino. Ci ha raccontato di aver subito anche lui un pestaggio bestiale, ma di non aver mai avuto il coraggio di denunciarlo. Ci ha ringraziate. E' anche per lui, per tutti quelli costretti al silenzio, che vogliamo andare fino in fondo».

 

La dura denuncia di “Aimèe & Jaguar”: «È la città delle spedizioni punitive»
La protesta di Stefania Gander e Rita Rasom picchiate dal branco

Di Miriam Barbera - “Il Mattino”, 28 Ottobre 2001

 

«Dalla violenza alla libertà» era lo slogan dell’iniziativa di protesta con cui Stefania Gander e Rita Rasom, hanno rivendicato ieri mattina al «Casanova» di vicolo Erbe e nel pomeriggio in un sit-in davanti al municipio, il diritto non di essere lesbiche, ma di essere libere di amare una persona anche del proprio stesso sesso. Lo hanno fatto a volto scoperto con nome e cognome sui media locali e nazionali, non senza esitazione ma per protesta contro gli "8 imbecilli" che il 6 ottobre alle 3 di notte nel parcheggio ex Monopolio, li hanno aggredite perché coppia omosessuale per poi vigliaccamente scappare. E la strada dalla violenza alla libertà per gay e lesbiche è ancora lunga, perchè l’adesione all’incontro di ieri, da parte della stessa categoria oggetto di discriminazione, è stata timida. A dimostrazione di un percorso di rivendicazione di pari dignità tutto in salita, è il fatto - come ha sottolineato Stefania Gander - che lo stesso primo cittadino di Bolzano, Giovanni Salghetti Drioli, il sindaco del centrosinistra, ha commentato l’aggressione di cui le due giovani sono rimaste vittime, quale "ragazzata". La decisione di denunciare - hanno sottolineato le due aggredite - è stata sofferta ma intrapresa per invertire la comune tendenza a sminuire episodi gravi, soprattutto quando vengono compiuti a danno di soggetti etichettati come «diversi». Perché il «branco» anche a Bolzano finora ha colpito contando proprio sulla discrezione di lesbiche e omosessuali generalmente schivi nel denunciare aggressioni. Silenzio che copre «due aggressioni al mese che non saranno mai denunciate», informa Stefania. Quindi l’azione «Dalla violenza alla libertà» decisa da Rita e Stefania, fondatrici dell’associazione lesbica «Aimée e Jaguar» è rivolta ai loro stessi amici. Un’esortazione a lottare con tutti gli strumenti giuridici e politici a disposizione contro «chi dichiara di tollerare la diversità di giorno e poi picchia il diverso la notte». In piazza Municipio ieri le bandiere l’orgoglio omosessuale sventolavano per dire basta alle persecuzioni - che come ha detto Enrico Oliari, presidente nazionale di Gaylib - a Bolzano sono state più volte denunciate. «Persecuzioni - dice Oliari - come la retata al parco Petrarca di 8 gay da parte delle forze dell’ordine che li ha trattenuti in piazza IV Novembre per un’ora e mezzo». Tra i manifestanti anche l’onorevole Titti De Simone, presidente di Arcilesbica. «E se le mani - s’interroga Rita - sono l’ultimo mezzo per lanciare un grido, allora vuol dire che non ci sono più parole».

 

Manifestazione di solidarietà alla coppia lesbica aggredita

Di Luca Fregona – “Alto Adige”, 28 Ottobre 2001

 

BOLZANO. «Siamo uscite allo scoperto per dare un esempio: chi subisce violenze deve avere il diritto di denunciarle senza temere ritorsioni o di non essere creduto. Purtroppo, gay e lesbiche spesso tacciano, preferiscono tenersi le botte, pur di non esporsi». Stefania Gander e Rita Rasom si abbracciano, nelle mani la bandiera colorata di Arcilesbica, davanti: un centinaio di persone che le avvolgono in un abbraccio affettuoso. Poche parole per spiegare la scelta di «venire fuori», di raccontare «tre settimane d’inferno». Di ritornare con la memoria sul pestaggio che hanno subito la notte del 6 ottobre nel parcheggio di via Dante da un branco di teppisti, solo per il fatto di essersi scambiate un bacio. Poche parole commosse pronunciate ieri pomeriggio, al termine della manifestazione di solidarietà in piazza Municipio organizzata dalle principali associazioni gay e lesbiche, con rappresentanze anche da altre regioni italiane. Presente Titti De Simone, deputata di Rifondazione, presidente di Arcilesbica, che sull’aggressione ha presentato un’interrogazione al ministro degli interni Scajola. Un sit-in sobrio e composto, "blindato" dalla presenza massiccia di polizia e carabinieri, pronti a garantire tranquillità e sicurezza.

Ma ieri non è stata solo la giornata di Rita e Stefania, è stata anche la giornata dell’orgoglio e del coraggio dell’intera comunità omosessuale cittadina, che, per la prima volta, è scesa nelle strade. E non a caso ha scelto piazza Municipio. «Siamo state molto ferite dal silenzio delle istituzioni - spiegano Rita e Stefania - il sindaco ha minimizzato. Ha detto che si è trattato di una "ragazzata". Non ci ha cercate, non ha speso una parola per dire che la città ci è vicina. Eppure noi, prima che lesbiche, siamo due cittadine di Bolzano. Due cittadine che hanno subito un pestaggio brutale solo perchè si amano e non vogliono nasconderlo. Ma come si può pretendere che chi subisce violenza poi denunci, quando le istituzioni sono le prime a stare zitte?». La delusione aumenta con la consapevolezza che le aggressioni a danni di gay e lesbiche non sono episodi isolati. «In città i casi di violenza contro persone omosessuali sono sull’ordine di due, tre al mese. Solo che chi ne è vittima, è terrorizzato che si sappia in giro. E così racconta di essere caduto dalle scale... La nostra battaglia è anche per loro. Perchè non c’è niente da vergognarsi».

Enrico Oliari, presidente di Gay Lib porta un esempio concreto: i gay che si ritrovano a "Parco Petrarca" spesso sono oggetto di vere spedizioni punitive: «Ma non dicono nulla perchè vivono la loro condizione in "clandestinità". Il sindaco deve sapere quello che accade, non può ignorare questa realtà di intolleranza e razzismo». Ma - denunciano ancora Rita e Stefania - è il mondo politico nel complesso ad essere rimasto in silenzio. Alla manifestazione si sono visti pochi volti noti: i ds Guido Margheri, Mauro Bertoldi e il nuovo segretario Tommasini. E poi Enrico Visentin di Rifondazione, e Lidia Menapace. Giorgio Holzmann si è fatto vivo con una telefonata. Tutte partecipazioni individuali, o al massimo di partito. Nessuna "istituzionale". «Il fatto - spiega Titti De Simone - è che in Italia siamo ancora al medioevo per quanto riguarda i diritti degli omosessuali. E’ sconcertante che un’amministrazione di centrosinistra non abbia il coraggio di prendere posizione».

 

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