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Venerdì 26-Gen-2007
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Di Enrico Oliari, Novembre 2001
"Alto Adige", 16 Ottobre 2001
BOLZANO.
INTOLLERANZA. PARLA LA COPPIA LESBICA AGGREDITA. «LASCIATE SOLE
E GIUDICATE». LA DENUNCIA: «C'È CHI DICE CHE CE LA
SIAMO CERCATA»
BOLZANO. «La nostra vita è cambiata. Adesso abbiamo paura anche della nostra ombra». C'è amarezza nelle parole di Stefania e Rita, le due lesbiche pestate selvaggiamente venerdì 6 ottobre da un "branco" di dieci ragazzi tra i 20 e i 30 anni. «E se è vero - proseguono - che abbiamo ricevuto tanti attestati di solidarietà, è altrettanto vero che c'è anche chi dice che ce la siamo cercata, che non dovevamo andare in giro tenendoci per mano. Insomma, la colpa, alla fine, è solo nostra». BRANCO. Una denuncia contro ignoti. Sette giorni di prognosi a testa per contusioni, lesioni, abrasioni. Quella notte le aggressioni erano state due nel giro di poche ore: la prima davanti al circolo gay Centaurus, la seconda, quella più bestiale e culminata in un vero e proprio pestaggio, al parcheggio dell'ex monopolio all'inizio di via Dante. «L'autore della prima violenza - dice Stefania - è stato identificato dalla Polizia. Ma contro di lui non sporgeremo denuncia. E' un clochard, un povero cristo. Se l'è presa con noi, ma avrebbe colpito chiunque gli fosse capitato a tiro. Noi vogliamo invece che venga individuato (e punito) il branco che ha colpito al parcheggio. Quei ragazzotti volgari che ci hanno prima offese e umiliate, e poi menato solo perché siamo lesbiche. Abbiamo deciso di denunciarli proprio perché non devono passarla liscia». Le due donne rivolgono un appello: «Chi ha visto ci aiuti ad identificare gli aggressori: quella sera un giovane ha chiamato il 113. A noi ha detto di essere un carabiniere. Lo invitiamo a mettersi in contatto con la polizia. La nostra speranza è che si sia segnato il numero di targa delle due auto della banda. Abbiamo sbagliato solo una cosa: saremmo dovute andare subito al pronto soccorso e a sporgere denuncia. Ma eravamo così sconvolte che l'unico pensiero è stato quello di rientrare a casa, al sicuro». PAURA. «Da quella sera maledetta la nostra vita è cambiata - dice Rita, occhi lucidi, minuta, capelli corti biondo cenere -. Da quando ci hanno assalite, le notti si sono trasformate in un inferno. Non dormiamo. Ci sentiamo osservate». Le due ragazze abitano vicino al luogo dell'aggressione. Quella notte erano scese a portare fuori il cane. «La sera - continua Rita - scelgo percorsi alternativi per rientrare a casa. Quando parcheggio cerco con lo sguardo quelle macchina, in particolare la Golf rossa. Una vecchia Golf...Da quell'auto è sceso l'uomo che mi ha dato un pugno allo stomaca, e poi ha cercato di strangolarmi. Cerco quell'auto per due motivi: perché mi terrorizza l'idea di trovarmelo ancora di fronte, ma anche perché vorrei guardarlo in faccia, riconoscerlo, denunciarlo con nome e cognome». Stefania tormenta con le mani i ciuffi ramati: «Non riesco più a lavorare - racconta -, perdo subito la concentrazione. Penso a quei ragazzi, a quello che dicevano. Ogni giorno che passa è sempre peggio. Nelle ore dopo l'aggressione ero per aria, come paralizzata. Cercavo di minimizzare con frasi del tipo "sono cose che accadono, poteva andare peggio". Adesso mi è rimasta solo la paura. E come se avessimo capito che siamo vulnerabili, che questa città che sembrava protettiva e tollerante, di fatto, non lo è». COLPA. «Qualche giorno fa - racconta Stefania - ho letto le dichiarazioni di un noto teologo altoatesino che ridimensionava quanto successo. Diceva che i ragazzi erano ubriachi. Che bisognava vedere come erano andate veramente le cose. Minimizzava. Giustificava. Ho trovato le sue parole offensive. Ma purtroppo, questo, è un atteggiamento diffuso, che abbiamo vissuto più volte in queste ore. Si accampano mille scuse, forse perché sono "bravi ragazzi" provenienti da qualche vallata». Rita parla di una battaglia solitaria: «Purtroppo c'è chi vuole farci sentire sporche, come se la colpa fosse nostra. Ci sentiamo giudicate. Mia madre non mi parla più. Della mia famiglia non mi ha chiamato nessuno, neanche una telefonata per chiedermi come sto, se ho preso dei ceffoni o una carezza... Molti ci hanno posto domande umilianti. Perché eravate in giro a quell'ora? Perché vi tenevate per mano? Perchè vi siete baciate? Perché avete riposto alle offese? Capisce?, il "branco" lo abbiamo provocato noi... Una delusione enorme. Delle amiche sono arrivate a dirmi che dovevamo stare in silenzio, che dobbiamo vivere la nostra vita senza che gli altri sappiano niente. Nascoste per non disturbare». In certi momenti, spiega ancora la coppia, è forte la voglia di mollare tutto, di fare un passo indietro. «Ma dura solo un istante. L'altro giorno ci ha telefonato un amico gay, un bolzanino. Ci ha raccontato di aver subito anche lui un pestaggio bestiale, ma di non aver mai avuto il coraggio di denunciarlo. Ci ha ringraziate. E' anche per lui, per tutti quelli costretti al silenzio, che vogliamo andare fino in fondo». |
La
dura denuncia di “Aimèe & Jaguar”: «È la
città delle spedizioni punitive»
La protesta di Stefania Gander e Rita Rasom picchiate dal branco
Di Miriam Barbera - “Il Mattino”, 28 Ottobre 2001
«Dalla violenza alla libertà» era lo slogan dell’iniziativa
di protesta con cui Stefania Gander e Rita Rasom, hanno rivendicato ieri
mattina al «Casanova» di vicolo Erbe e nel pomeriggio in un
sit-in davanti al municipio, il diritto non di essere lesbiche, ma di
essere libere di amare una persona anche del proprio stesso sesso. Lo
hanno fatto a volto scoperto con nome e cognome sui media locali e nazionali,
non senza esitazione ma per protesta contro gli "8 imbecilli"
che il 6 ottobre alle 3 di notte nel parcheggio ex Monopolio, li hanno
aggredite perché coppia omosessuale per poi vigliaccamente scappare.
E la strada dalla violenza alla libertà per gay e lesbiche è
ancora lunga, perchè l’adesione all’incontro di ieri,
da parte della stessa categoria oggetto di discriminazione, è stata
timida. A dimostrazione di un percorso di rivendicazione di pari dignità
tutto in salita, è il fatto - come ha sottolineato Stefania Gander
- che lo stesso primo cittadino di Bolzano, Giovanni Salghetti Drioli,
il sindaco del centrosinistra, ha commentato l’aggressione di cui
le due giovani sono rimaste vittime, quale "ragazzata". La decisione
di denunciare - hanno sottolineato le due aggredite - è stata sofferta
ma intrapresa per invertire la comune tendenza a sminuire episodi gravi,
soprattutto quando vengono compiuti a danno di soggetti etichettati come
«diversi». Perché il «branco» anche a Bolzano
finora ha colpito contando proprio sulla discrezione di lesbiche e omosessuali
generalmente schivi nel denunciare aggressioni. Silenzio che copre «due
aggressioni al mese che non saranno mai denunciate», informa Stefania.
Quindi l’azione «Dalla violenza alla libertà»
decisa da Rita e Stefania, fondatrici dell’associazione lesbica
«Aimée e Jaguar» è rivolta ai loro stessi amici.
Un’esortazione a lottare con tutti gli strumenti giuridici e politici
a disposizione contro «chi dichiara di tollerare la diversità
di giorno e poi picchia il diverso la notte». In piazza Municipio
ieri le bandiere l’orgoglio omosessuale sventolavano per dire basta
alle persecuzioni - che come ha detto Enrico Oliari, presidente nazionale
di Gaylib - a Bolzano sono state più volte denunciate. «Persecuzioni
- dice Oliari - come la retata al parco Petrarca di 8 gay da parte delle
forze dell’ordine che li ha trattenuti in piazza IV Novembre per
un’ora e mezzo». Tra i manifestanti anche l’onorevole
Titti De Simone, presidente di Arcilesbica. «E se le mani - s’interroga
Rita - sono l’ultimo mezzo per lanciare un grido, allora vuol dire
che non ci sono più parole».
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Manifestazione di solidarietà alla coppia lesbica aggredita
Di Luca Fregona – “Alto Adige”, 28 Ottobre 2001
BOLZANO. «Siamo uscite allo scoperto per dare un esempio: chi subisce violenze deve avere il diritto di denunciarle senza temere ritorsioni o di non essere creduto. Purtroppo, gay e lesbiche spesso tacciano, preferiscono tenersi le botte, pur di non esporsi». Stefania Gander e Rita Rasom si abbracciano, nelle mani la bandiera colorata di Arcilesbica, davanti: un centinaio di persone che le avvolgono in un abbraccio affettuoso. Poche parole per spiegare la scelta di «venire fuori», di raccontare «tre settimane d’inferno». Di ritornare con la memoria sul pestaggio che hanno subito la notte del 6 ottobre nel parcheggio di via Dante da un branco di teppisti, solo per il fatto di essersi scambiate un bacio. Poche parole commosse pronunciate ieri pomeriggio, al termine della manifestazione di solidarietà in piazza Municipio organizzata dalle principali associazioni gay e lesbiche, con rappresentanze anche da altre regioni italiane. Presente Titti De Simone, deputata di Rifondazione, presidente di Arcilesbica, che sull’aggressione ha presentato un’interrogazione al ministro degli interni Scajola. Un sit-in sobrio e composto, "blindato" dalla presenza massiccia di polizia e carabinieri, pronti a garantire tranquillità e sicurezza. Ma ieri non è stata solo la giornata di Rita e Stefania, è stata anche la giornata dell’orgoglio e del coraggio dell’intera comunità omosessuale cittadina, che, per la prima volta, è scesa nelle strade. E non a caso ha scelto piazza Municipio. «Siamo state molto ferite dal silenzio delle istituzioni - spiegano Rita e Stefania - il sindaco ha minimizzato. Ha detto che si è trattato di una "ragazzata". Non ci ha cercate, non ha speso una parola per dire che la città ci è vicina. Eppure noi, prima che lesbiche, siamo due cittadine di Bolzano. Due cittadine che hanno subito un pestaggio brutale solo perchè si amano e non vogliono nasconderlo. Ma come si può pretendere che chi subisce violenza poi denunci, quando le istituzioni sono le prime a stare zitte?». La delusione aumenta con la consapevolezza che le aggressioni a danni di gay e lesbiche non sono episodi isolati. «In città i casi di violenza contro persone omosessuali sono sull’ordine di due, tre al mese. Solo che chi ne è vittima, è terrorizzato che si sappia in giro. E così racconta di essere caduto dalle scale... La nostra battaglia è anche per loro. Perchè non c’è niente da vergognarsi». Enrico Oliari, presidente di Gay Lib porta un esempio concreto: i gay che si ritrovano a "Parco Petrarca" spesso sono oggetto di vere spedizioni punitive: «Ma non dicono nulla perchè vivono la loro condizione in "clandestinità". Il sindaco deve sapere quello che accade, non può ignorare questa realtà di intolleranza e razzismo». Ma - denunciano ancora Rita e Stefania - è il mondo politico nel complesso ad essere rimasto in silenzio. Alla manifestazione si sono visti pochi volti noti: i ds Guido Margheri, Mauro Bertoldi e il nuovo segretario Tommasini. E poi Enrico Visentin di Rifondazione, e Lidia Menapace. Giorgio Holzmann si è fatto vivo con una telefonata. Tutte partecipazioni individuali, o al massimo di partito. Nessuna "istituzionale". «Il fatto - spiega Titti De Simone - è che in Italia siamo ancora al medioevo per quanto riguarda i diritti degli omosessuali. E’ sconcertante che un’amministrazione di centrosinistra non abbia il coraggio di prendere posizione». |
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