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Aggiornato Venerdì 26-Gen-2007

 

Per non dimenticare...

 

Il 13 gennaio di sei anni fa Alfredo Ormando, gay e poeta siciliano, si dava fuoco a S. Pietro

Di Delia Vaccarello - "L'Unità", 13 Gennaio 2004

 

Questo testo è una ricostruzione scritta in prima persona della vita di Alfredo Ormando fatta anche sulla base dei documenti messi a disposizione da Massimo Consoli e Piero Montana, che ringraziamo. E' stato pensato nella convinzione che la scrittura può essere resurrezione.

(Questo testo è una ricostruzione scritta in prima persona della vita di Alfredo Ormando fatta anche sulla base dei documenti messi a disposizione da Massimo Consoli e Piero Montana, che ringraziamo. E' stato pensato nella convinzione che la scrittura può essere resurrezione)

Ho passato buona parte dei miei quarant'anni, sperando che le mie parole pubblicate in un'opera potessero uscire dai confini della mia isola, la Sicilia. Non è stato possibile, inesorabili i rifiuti delle case editrici, dalle più grandi alle minori. Allora ho deciso di farmi parola io stesso. Ho deciso di trasformare in urlo e in segno indelebile il mio corpo di uomo che ama un altro uomo, di gridare tutto ciò che la Chiesa non vuole vedere. Il mio corpo sarà la penna, si consumerà scrivendo la mia parola che nessuno potrà cancellare, il mio inchiostro sarà la benzina.

Sono, partito da Palermo ieri sera in treno. Un viaggio interminabile per arrivare qui, sotto l'imponente colonnato in questa rigida mattina. Oggi è il 13 del mio ultimo gennaio, del mio ultimo anno, il 1998. Ho comperato la benzina presso un distributore automatico vicino San Pietro. Ho nascosto la tanica in una borsa nera. Ma ora, prima di darmi fuoco, sento i ricordi che non vogliono lasciarmi e li accolgo nel grembo della mia mente che per me è ospitale come il grembo di donna ed è l'unico luogo di libertà che io abbia mai conosciuto. La mia consolazione è stata nelle mie fedi, ho sempre creduto, come ho scritto in un aforisma che “anche una mente superiore, sei ha umili origini, può dimorare nel più infelice e reietto degli uomini”.

Mi chiamo Alfredo Ormando sono nato a San Cataldo, un paesino in provincia di Caltanissetta, il 15 dicembre del 1958. Mio padre e mia madre erano analfabeti, hanno lavorato nei campi e poi sono diventati operai. Ho sette fratelli, le nostre condizioni economiche sono state modeste, quando non disagiate. Io non sono riuscito a frequentare la scuola regolarmente e ho preso la licenza media a venti anni, come privatista. La maturità magistrale cinque anni fa. Mi sento un anticonformista e sento intorno a me, come ho scritto a un amico, il mondo ostile, armato verso coloro che hanno «dentro di sé quel qualcosa in più che va a cozzare contro la grettezza, i pregiudizi , l'invidia e il provincialismo della propria gente».

Alla ricerca di me stesso e di un luogo accogliente mi sono abbandonato anche a una crisi mistica di cui ho parlato nel romanzo «Il Fratacchione» nel quale descrivo il silenzio della mia vita conventuale. L'ho pubblicato a mie spese un anno fa, aiutato anche dalla mamma che ormai ha più di 80 anni e vive di una piccola pensione sociale.

Ma noi siamo di origini contadine e non buttiamo niente. Ogni cosa può nutrirci fino a quando la vita ha un senso. Poi buttiamo la vita tutta intera. Come sto per fare io, qui davanti a questo presepe anacronistico, che a San Pietro non viene smantellato subito dopo la Befana. Io sto per darmi fuoco guardando il bambinello. E mentre loro prolungano il Natale, io anticipo la Pasqua, e mostro che vogliono il sangue, che vogliono la morte.

Mi farò torcia umana e scriverò parole che non potranno essere ignorate. Visto che hanno messo Cristo in croce capiranno che cos'è il sacrificio e almeno dentro di loro l'eco delle mie parole procurerà un sussulto. Come ora, dentro di me, torna l'eco di ciò che ho scritto al mio amico: «Penseranno che sia un pazzo perché ho deciso piazza san Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo. Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l'omosessualità, demonizzando nel contempo la Natura, perché l'omosessualità è sua figlia». Ho vissuto sulla mia pelle il razzismo nei confronti delle emozioni, quello che vede il pregiudizio stanarti oltre ogni confine possibile e nutrirsi di te fino ad annientarti. Le mie parole, anche quelle scritte nei libri, ritornano ora con forza, come i ricordi. L'umiliazione l'ho descritta in «Sotto il cielo d'Urano»: «Ho sperimentato in prima persona cosa significhi salire e scendere le scale altrui, sentirsi un «marocchino» nel proprio Paese... vivere all'ombra di mia madre, essere umiliato, vilipeso, osteggiato, emarginato e porre fine ai miei giorni con il suicidio». Adesso basta, la società mi ha suicidato, prima che lo facessi io. Almeno mi prendo la libertà, l'unica che mi hanno lasciato, di compiere il gesto finale.

Mi tolgo il giubbotto, anche se fa freddo, tra pochi secondi morirò di fuoco, un fuoco catartico e visibile, che mi avvolgerà azzannandomi la pelle. Eppure la mia mano esita, ma «perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio... Nell'aldilà a nessuno farò drizzare i capelli e arricciare il nasino perché sono un omosessuale... Non capisco questo accanimento contro dì me. Non svio nessuno dalla retta via dell'eterosessualità, chi viene a letto con me è maturo, cioé adulto consenziente e omosessuale o bisessuale. A volte basta davvero poco per essere felici e altrettanto poco per essere infelici.

Per me il discorso è diverso: è da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nell'emarginazione; ormai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena» . Le gerarchie cattoliche arriveranno a dire che mi tolgo la vita per malattia, o debolezza, e non per urlare loro l'ingiustizia che infliggono agli omosessuali in questo Paese. Ed è per questo che nel mio giubbotto, che ho poggiato per terra, sui lastroni calpestati da migliaia di fedeli, ho lasciato una lettera di denuncia. Almeno le parole di un morto, di un martire, le leggeranno. Bisogna ammazzarsi per farsi sentire.

Ma se mi fossi ammazzato in Sicilia non mi avrebbero ascoltato. E sono dovuto partire. Non tornerò più nella mia Palermo che è stata prima come una metropoli rispetto a San Cataldo e poi, comunque, luogo di dolore. Ho lasciato per sempre la palazzina di via delle Magnolie, le strade alberate piene di profumi a primavera, la casa dove ho vissuto con un uomo pensionato, dando una mano in cambio di un aiuto per poter acquistare i libri e frequentare l'università. Non entrerò più nella facoltà di Lettere e Filosofia. Avere una laurea, ormai non fa più differenza. Magari me la daranno dopo, da morto. Avrebbe fatto la differenza avere degli amici veri, trovare anche nel movimento omosessuale legami profondi, ma così non è stato. Fino a pochi giorni fa, il due gennaio, ho scritto da Palermo a un amico di Reggio Emilia: «Se avessi avuto un paio di amici come te qui, avrei accettato di buon grado la mia vita». Ma l'amicizia vera è un bene inestimabile che non ho avuto. Il Sud con me è stato avaro.

L'amarezza è stata il mio rifugio. Amari gli aforismi: «A tradire sono sempre gli amici più intimi e i parenti più stretti». Perché? Solo a loro concediamo la possibilità di tradirci. Incantati, invece, sono stati i desideri irrealizzabili che ha espresso il mio immaginario. E’ di pochi mesi fa il mio racconto il «sogno di Paolo», dove Paolo si scopre donna e vive un amore di una completezza irreale, tanto intenso quanto solo da sognare. Poi si sveglia indubbiamente uomo. Ho lavorato, studiato, scritto, fino all'estenuazione. Sembrava che nulla potesse vincermi. Mi ha sconfitto la malvagità. Quando ho scritto: "Nessuno è più malvagio di chi spinge un uomo buono ad essere il suo assassino", ho capito che era arrivata la mia ora.

Io mi sto trasformando nel mio assassino, qui dinanzi agli occhi innocenti di Gesù che amo. Dinanzi alle gerarchie ecclesiastiche che odiano gli omosessuali. Prendo la tanica, mi inzuppo la maglia e i-pantaloni. Stringo nella mano destra un accendino. Basta azionarlo una, due volte... il fuoco divampa, è come i falò sulla sabbia a due passi dal mare, la fiamma è rovente, vicinissima, vicinissimo è l'infinito, ma ora a divampare sono io, è terribile, sono una torcia umana, corro, mi inarco per il dolore che mi fa impazzire, sono pazzo ma mi sento vivo almeno per qualche istante, vado verso Gesù, il vento del mattino alimenta le fiamme, un passante grida, due uomini in divisa si gettano su di me, agitano le giacche contro la mia pelle che non c'è più, prendono un estintore... Mi soccorrono gli infermieri. «Non sono neanche riuscito a morire». Per terra, sotto il colonnato, resta una striscia nera, sangue impastato a carbone e benzina.

Sono dietro a un vetro, il novanta per cento della pelle è ustionata, le telecamere dei tiggì mi inquadrano. Lo so, non mi salverò. Il mio corpo è la mia parola. Finalmente ascoltata.

 

(In memoria - Considerazioni postume - Novembre 2004)

 

“IL CAPOLAVORO DELLA CHIESA CATTOLICA: L'AUTOMARTIRIO DI ALFREDO ORMANDO”

Di Lorenzo Lozzi Gallo

 

Il 16 febbraio di quest'anno abbiamo celebrato la figura di Giordano Bruno in occasione dei quattrocento anni dalla sua morte. Giordano Bruno è giustamente considerato un martire del libero pensiero da tutti gli atei del mondo; eppure, non tutti sanno che ancora oggi la chiesa cattolica produce martiri contro di essa. È il capolavoro della chiesa cattolica, creare le condizioni per uccidere senza che nessuno possa accusarne i vertici di aver materialmente ordinato la cosa. Eppure, nessuno può negare che spesso i suicidi di omosessuali e di altre persone che il Vaticano utilizza come capri espiatori non possono essere imputati ad altro che a questa campagna omnipervasiva: soprattutto tra i giovani omosessuali, i più esposti agli influssi dell'educazione cattolica, il numero di tentativi di suicidio, secondo le statistiche, è nettamente superiore rispetto a quello dei loro coetanei eterosessuali. Ma non sono solo gli adolescenti a cadere vittime di questo pogrom silenzioso: la storia che stiamo per raccontare è esemplare, e insieme eccezionale, per il carattere eccezionale della persona coinvolta.

Alfredo Ormando era nato e cresciuto in Sicilia, in un ambiente da lui stesso definito bigotto e provinciale. Discriminato dalla più tenera età a causa del suo essere omosessuale, a 39 anni Ormando decise di farla finita con le discriminazioni, a modo suo. Martedì 13 gennaio 1998 Ormando arrivò in piazza S. Pietro intorno alle sette e mezza di mattina, portando con sé una tanica di benzina. Arrivato al colonnato, si tolse il soprabito, si cosparse di liquido e appiccò il fuoco ai vestiti che portava. Riuscì a fare ancora qualche passo in direzione della basilica, poi cadde. I carabinieri in servizio in piazza S. Pietro lo soccorsero e fu trasportato d'urgenza all'ospedale. Aveva ustioni sul 90 per cento del corpo. Morì dopo undici giorni di agonia, senza mai riprendere coscienza.

Alla sua morte, il portavoce del Vaticano, Ciro Benedettini, negò che esistesse una qualunque connessione tra l'omosessualità dell'uomo e il luogo scelto per mandare ad effetto il suo gesto, affermando: «Nella lettera trovata addosso a Ormando, non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa». In realtà, Alfredo Ormando aveva con sé due lettere in cui spiegava le sue ragioni; le aveva lasciate nel soprabito che si era tolto. Furono confiscate. Ma Ormando era un uomo previdente: ne aveva mandato copia anche all'ANSA di Palermo, prima di prendere il treno per Roma.

La prima delle due lettere era indirizzata al fratello. In essa l'autore si sfogava in questi termini: «Non hai idea di come ci si sente quando si è trattati in questo modo; non si riesce mai ad abituarsi ad accettarlo, perché è la nostra dignità che viene brutalmente vilipesa. Anche il marito di "E" (una sua sorella, nda) e suo figlio si sono vergognati in pubblico di me, anche quella santa donna di tua suocera si è permessa di deridere la mia omosessualità. Forse non ti è noto l'odio caino di nostro fratello "E" nei miei confronti? Fino a giungere a dire di fronte ad un estraneo (tu eri presente): "Se potessi ucciderlo con le mie mani lo farei". Non voglio rifare queste bruttissime esperienze, so che si ripeteranno sempre fino a quando sarò vecchio e prossimo alla morte. Non permetterò più che si continui ad umiliarmi: non lo potrei più sopportare».

Nell'altra, indirizzata genericamente «ai posteri», Ormando cominciava con tono amaro: «Chiedo scusa per essere venuto al mondo». Questa seconda lettera è pervasa da un'esaltazione che si può spiegare considerando che è stata scritta da un uomo che aveva già fermamente deciso di uccidersi.

Ma la spiegazione del suo gesto emerge dolorosamente chiara in un'altra lettera, datata al natale del 1997, indirizzata ad un amico, in cui scrisse: «Penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo. Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa, che demonizza l'omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l'omosessualità è sua figlia».

A questo punto, credo che nessuno avrà dubbi sulle ragioni di Ormando. Era un intellettuale, un uomo colto anche se provato, ormai esausto, e negli ultimi febbrili giorni prima della fine si è preoccupato di lasciare sufficienti testimonianze che ci permettono ora di erigergli il monumento che si è meritato come martire sull'altare delle libertà civili, l'unico cui tutti i cittadini italiani devono rendere omaggio. È triste dover riportare come questo gesto di grande valore morale sia andato totalmente sprecato per la chiesa: il papa stesso non ha voluto nominare Alfredo Ormando, neanche per dire una civile parola di cordoglio.

Da allora, la comunità omosessuale e i suoi sostenitori celebrano ogni anno il 13 gennaio in memoria di Alfredo Ormando. Quest'anno, l'appuntamento è stato particolarmente amaro per i cristiani, dato che nell'anno del Giubileo già si sapeva che il papa non avrebbe chiesto scusa agli omosessuali per le persecuzioni di cui li aveva fatti oggetto, e il rappresentante del coordinamento dei gruppi omosessuali cristiani in Italia, Andrea Ambrogetti, se ne era lagnato con la stampa. Ma anche per i laici ci sono stati segnali a dir poco inquietanti: come già raccontato nel numero 1 di quest'anno (Criticare la chiesa cattolica è reato di Pierangelo Bucci) il sit-in avvenuto in Campidoglio, nei giorni in cui il sindaco di Roma riceveva il papa, si è concluso con la repressione violenta di una libera e pacifica manifestazione, e con la denuncia di due ragazzi colpevoli di aver scritto in uno striscione un'opinione («Chiesa assassina») che nessuno può ritenere tecnicamente scorretta, nel caso di Ormando, ma che in Italia, a quanto pare, è proibito esprimere. Un bell'inizio Giubileo... Certo, a giudicare dalle polemiche di questi giorni, si può affermare con sicurezza che né il comune di Roma né il Vaticano hanno intenzione di proseguire diversamente da come avevano cominciato. Da questi avvenimenti d'inizio anno, e da quelli che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, risulta chiaro che la Repubblica Italiana nei confronti delle minoranze sessuali usa metodi non democratici, in palese contrasto non solo con i diritti civili, ma anche con quelli umani. La vicenda di Alfredo Ormando, e le polemiche di questi giorni, mostrano a tutti noi atei, agnostici, o semplicemente cristiani liberi, l'importanza dei diritti delle minoranze sessuali come «cartina tornasole» del tasso di democraticità e di rispetto dei diritti umani in una nazione.

La memoria stessa di chi è morto per la mancanza di questi diritti ci impedisce di dimenticare uno dei primi slogan del movimento omosessuale americano: «I diritti dei gay sono diritti umani - Gay rights are human rights!».

 



 

IN MEMORIA DI ALFREDO ORMANDO SACRIFICATOSI CONTRO IL “MALE ASSOLUTO”

...Un atto di ribellione e protesta radicale anche per scuotere gli stessi omosessuali italiani, sempre troppo presi a vivacchiare alla meno peggio...

Di Pierangelo Bucci

 

L'organizzazione per la commemorazione di Alfredo Ormando come sempre langue... ma Arcigay che fa? E il Mieli? Mi sembra che si tratti questa ricorrenza sempre con troppa... timidezza!!! Il tema è caldo, è chiaro, perché Ormando ha scosso brutalmente le coscienze di gay e non. Ci ha scossi dall'illusione che "tutto sta andando bene". Egli, invece, ha puntato il dito, sacrificandosi, contro il male assoluto: la chiesa cattolica. Un atto di ribellione e protesta radicale anche per scuotere gli stessi omosessuali italiani, sempre troppo presi a vivacchiare alla meno peggio (quando va bene).

Si dovrebbe portare un fiume di gente per l'Ormando's day! Almeno 20.000 persone in piazza, soprattutto dopo il vomito d'odio, rancore, ossessione che la chiesa cattolica, nella persona del cardinal Ratzinger ha recentemente scaricato sulla nostra dignità! E su questo punto ricadono le responsabilità delle grandi associazioni gay italiane.

Il documento Ratzinger, come i vari documenti vaticani che lo hanno preceduto su questo tema, per lasciare da parte le dichiarazioni pontificie, sono un cancro maligno innestato nel cervello di molti giovani gay e li rende infelici, depressi, a volte li spinge ad uccidersi. A volte spinge altri ad ucciderli.

Allo stesso modo il Vaticano è il responsabile diretto e primario della morte di Alfredo Ormando: egli è stato il nostro Stonewall. Un trauma. La brutalità di quella morte, che la chiesa vorrebbe rimuovere ad ogni costo, per ovvio opportunismo politico (tant'è che l'Osservatore Romano, a suo tempo, non riportò nemmeno una riga del fatto), è talmente dirompente che, a volte, pare che lo stesso movimento voglia dimenticarla. Perché dandosi fuoco ha tragicamente illuminato la realtà: ha mostrato ai gay italiani, e al mondo intero, il vero volto della chiesa, la sua aberrazione, che si nutre del dolore altrui. È ancora la tremenda condizione che molti gay ancora vivono quotidianamente nella provincia italiana.

Nel contempo ha mostrato la fragilità emotiva di una chiesa gerontocratica, che sa di mentire spudoratamente e che ha paura di essere smascherata. E nel momento in cui il suo corpo giaceva semimorto in un letto di ospedale, allora, tutti si sono accorti della realtà terribile, dell'orrore che l'omofobia provoca. Un gesto che riuscì a zittire brevemente anche i politici più omofobi. Che ha sbattuto sulla loro faccia di maiali ingrassati ad ostie quanto vergognoso e criminale sia stato il loro comportamento di laida sudditanza alla pantofola papale.

Il movimento omosessuale italiano ha il dovere, per amore verso sé stesso, di ricordare e commemorare solennemente tale data. A futura memoria. Perché nessuno dimentichi il male che le religioni provocano con il loro fanatismo. E che sia quindi da monito. Per fermare la strage quotidiana di omosessuali che muoiono uccisi e suicidi in nome di dio. Ma in fin dei conti la stessa bibbia si fa rivelatrice dei gusti personali del dio che unisce giudei, cristiani e musulmani: "Egli s'inebria all'odore della carne che brucia".

 

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