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Regista e attore (Firenze, 17 Febbraio 1965)
Leonardo Pieraccioni, ha rappresentato un notevole fenomeno nel panorama cinematografico italiano degli anni Novanta. Con la faccia pulita da bravo ragazzo, vis comica tipicamente toscana, i racconti delle forche scolastiche al giardino di Boboli e dei primi impacciati approcci amorosi, inizia con il cabaret sin dal 1985. Si cimenta in teatro e fà un po’ di televisione. Si esibisce ovunque: cantine, case del popolo ed emittenti locali per le quali con un gruppo di amici produce la trasmissione comica “Succo d’arancia”. Presto arriva anche la tv nazionale: partecipa al tormentato “Fantastico” del 1991 con Johnny Dorelli e Raffaella Carrà e poi conduce un’edizione del programma musicale di Italia 1 “D.J. Television”. Debutta come attore cinematografico nel film “Zitti e mosca” (1991), senza che nessuno lo noti al di fuori dei confini della Toscana. Dopo aver girato ventinove cortometraggi nei quali è attore, registra e produttore, dirige nel 1995 il suo primo lungometraggio, “I laureati”, commedia sulle incertezze esistenziali di quattro trentenni perennemente fuori corso che si rifiutano di crescere. La pellicola sembra destinata ad avere una risonanza solo a livello regionale, invece si trasforma in un successo nazionale. A scommettere su Pieraccioni è Rita Cecchi Gori che confessa di «esserne rimasta letteralmente conquistata vedendolo a teatro». Uscito in sordina nelle sale cinematografiche durante il periodo natalizio, prima a Firenze e Prato, poi a Roma, il film incassa tredici miliardi. Esattamente un anno dopo, realizza “Il ciclone” nel quale mette a frutto le sue caratteristiche autoriali e attoriali (humour accessibile, ottimismo rassicurante e struttura narrativa all’insegna del “politicamente corretto”, gusto nazional-popolare e rifiuto del turpiloquio nei dialoghi). Il film conquista il grande pubblico. Girato in tempi record con appena tre miliardi, senza particolari lanci pubblicitari, incassa non meno di sessanta, settanta miliardi delle vecchie lire e batte le grandi produzioni d’oltreoceano come “Evita” e “Il gobbo di Notre Dame”. Un tale successo è veramente inaspettato e sorprendente anche lui. A chi lo accusa di aver confezionato prodotti esclusivamente commerciali, il comico toscano risponde «mi sono limitato a fare dei film che mi sarebbe piaciuto vedere da spettatore. Lo spunto lo traggo da esperienze di vita vissuta; io sono un vitellone che fa cinema per rimanere un eterno studente fuori corso, come i personaggi de “I laureati”. Con “Il ciclone” ho affrontato il tema della casualità degli eventi che possono cambiare radicalmente il corso dell’esistenza di una persona. Temi banali, ma raccontati con sincerità». Appassionato spettatore cinematografico, fin da bambino Pieraccioni considera Mario Monicelli il migliore regista italiano e, a suo dire, vorrebbe essere capace di recuperare un po’ di quella sana cattiveria che ha accompagnato i migliori film del maestro. Come molti altri, affida agli amici i personaggi dei suoi film, primo fra tutti Massimo Ceccherini, poi Barbara Enrichi, Hendel e Haber. Altro ingrediente immancabile sono le donne: giovani e belle. Pieraccioni scrive, insieme a Giovanni Veronesi, e gira i film a tempo di record. Sostiene infatti che gli bastano tre mesi per la sceneggiatura, due di preparazione, due di lavorazione e due di montaggio per mantenere intatto lo stato di incoscienza e goliardia necessario ai suoi film. E così nell’ottobre del 1997 esce la sua terza pellicola, “Fuochi d’artificio”, questa volta con un battage pubblicitario alle spalle notevole, perfino una puntata del “Maurizio Costanzo Show” viene interamente dedicata al nuovo divo degli schermi italiani, presente per una virtuale benedizione anche il maestro Monicelli. Lo schema di “Fuochi d’artificio” è pressoché lo stesso di sempre e la critica se ne accorge, ma il pubblico torna a premiarlo accorrendo numeroso nelle seicento sale italiane in cui il film è distribuito. Successivamente, incapace di rinnovarsi (o forse mal consigliato dai suoi produttori), firma altri due film perdendo gran parte di quegli spettatori che ne avevano decretato il successo.
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