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Sabato 18-Mar-2006

Criteri generali per il trattamento dell’omosessualità al cinema e alla televisione

 

Da “Lo schermo velato” di Vito Russo

 

Nel giugno 1973 “Variety” riportò la notizia del primo di una serie di incontri fra gli attivisti gay e i rappresentanti delle industrie cinematografiche e televisive per discutere “il modo in cui vengono trattati i personaggi omosessuali e l’omosessualità nei film e nei telefilm statunitensi”. La Gay Activists Alliance aveva chiesto questo incontro con l’Association of Motion Picture and Television Producers per protestare contro “il ritratto falso e offensivo delle lesbiche e dei gay” e per spiegare che “esistono modi per inserire in un film vantaggi e svantaggi della vita gay, senza perdere la presa sul pubblico e il conseguente incasso”. Nell’estate del 1973, la Gay Activists Alliance, insieme al Gay National Task Force, elaborò alcuni criteri di base:

1. L’omosessualità non è buffa. Ci sono momenti in cui qualsiasi cosa può fornire lo spunto per l’umorismo, ma la vita di venti milioni di persone non è uno scherzo.

2. Checca, finocchio, violetta, fata, zietta, cula, lesbicona ecc. sono termini insultanti. Se non si vuole insultare, le parole da usare sono gay, lesbiche, omosessuali. Questo non significa che al cinema non si possono usare in assoluto questi termini, ma se ci sono regole sull’uso di muso giallo o di negraccio, devono essere usate anche per checca o lesbicona.

3. Usate le stesse regole valide per le altre minoranze. Se gli intolleranti non possono spuntarla, quando odiano i cattolici, non possono spuntarla anche quando odiano i gay. In altri termini, i diritti e la dignità degli omosessuali non sono una questione su cui discutere.

4. Esistono persone stereotipate. Ma se i media mostrano solo questa immagine minoritaria di qualsiasi gruppo, compiono un atto di intolleranza. Fino a quando un ampio spettro della comunità gay non sarà stato mostrato al cinema e gli stereotipi non saranno inseriti in una giusta prospettiva, il loro uso sarà nocivo.

5. L’omosessualità è una variante naturale della sessualità umana. Non è una malattia e neppure un problema per la maggioranza dei gay, che sono felici di essere quello che sono. Se tutti i neri, gli irlandesi, i portoricani fossero descritti come angosciati, spostati o pazzi, sarebbero furibondi. I gay sono furibondi.

6. Se si fa un film, una commedia o una trasmissione sull’omosessualità, si ha il dovere di prepararsi e di liberarsi dagli schemi.

7. C’è un’ampia scelta di temi a disposizione, che riguardano il posto dell’omosessualità nella società contemporanea e la gamma delle relazioni e delle scelte di vita gay. Molti di questi temi possono interessare un pubblico medio molto ampio. I gay non vogliono diventare di nuovo invisibili sui media.

8. Un comitato permanente di consulenti formato da donne e da uomini gay è a disposizione dell’industria cinematografica. Ma ci sono gay in tutti i lavori. Sta a voi creare un clima in cui si sentano liberi di esprimersi apertamente.

La televisione, che è soggetta al regolamento della Federal Communication Commission e alle reazioni che chi compra la pubblicità ha in base al comportamento del grande pubblico, era più vulnerabile a questo tipo di pressioni di quanto non fosse l’industria cinematografica. La programmazione televisiva, che copre più o meno 24 ore al giorno, doveva trattare problemi sociali sempre diversi, e fra questi l’omosessualità. Un film forse deve essere un successo, ma quando una trasmissione televisiva non riesce, c’è sempre la settimana seguente con un altro argomento, così la sperimentazione veniva incoraggiata. Le pressioni del movimento di liberazione gay influenzarono il modo in cui la televisione avrebbe presentato l’omosessualità allo spettatore americano, e riuscirono ad instaurare un dialogo più equilibrato e comunque più proficuo sia alla televisione che al cinema.

 

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