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Odiata
per la sua bellezza e accusata ingiustamente di aver collaborato ad una
rapina, Vienna (Crawford), la proprietaria di un saloon, viene condannata
all’impiccagione da una folla guidata dalla sua più acerrima
nemica, Emma (McCambridge): salvata all’ultimo momento da Johnny
Logan, detto Johnny Guitar (Hayden), un pistolero che in passato aveva
avuto con lei una relazione, Vienna riuscirà ad andarsene solo
dopo aver affrontato in duello Emma.
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Un western originalissimo divenuto oggetto di culto dei registi francesi della Nouvelle Vague, presenta una Joan Crawford mascolina e una Mercedes McCambridge ancora più mascolina in una serie di scontri che sembra scatenino il pubblico gay e lesbico ancora oggi. Intellettuale e complesso, torbido e cupo come una tragedia greca (sceneggiato da Philip Yordan), segnato in profondità dall’interpretazione manierata di tutti i protagonisti e straziante nel suo disperato romanticismo, propone il tema della tolleranza, permette di leggervi un violento attacco al maccartismo e al puritanesimo repressivo allora vincente, e si unisce all’esaltazione, barocca e fiammeggiante, dell’amore tra due vinti. Notevolissimo il lavoro sul colore del direttore della fotografia Harry Stradling e del regista, che per aggirare i limiti del sistema Trucolor (che rendeva male il blu) accentuò il cromatismo lavorando sul bianco (come certi indimenticabili abiti di Vienna) e il nero (come la notte, spesso rotta dalle fiamme). Nonostante la povertà della produzione (Republic), “Johnny Guitar” è una delle rielaborazioni più affascinanti del mito della frontiera, un esperimento che non tutta la critica ritiene legittimo e riuscito. |