Blood
Money, riuscì a creare un’ambigua tensione sessuale sullo
sfondo di una malavita molto più vera di quella di “Sangue
ribelle”. Qui l’omosessualità viene apertamente
riconosciuta all’interno di questa sottocultura marginale che le
offre rifugio. In diverse sequenze Sandra Shaw viene presentata come una
bionda a cui piace divertirsi, e con un debole per i vestiti da uomo.
Mentre aspetta l’arrivo del boy-friend al bancone del bar, in smoking
e monocolo, offre lo spunto per qualche allusiva battuta da “iniziati”.
Quando la star maschile del film, George Bancroft, le offre un sigaro,
la Shaw getta indietro la testa scoppiando in una fragorosa risata per
l’atteggiamento annoiato dell’uomo. «Ehi tu, sei un
gran sissy!» sbuffa, dandogli una pacca sulla spalla. Benché
la cosa non emerga nella società “normale”, ostentare
un riconoscimento di questo tipo è classico negli ambienti gay,
in cui l’abbigliamento o gli atteggiamenti di una persona svelavano
l’incomunicabile. Intanto il boy friend della Shaw, fratello minore
della fascinosa proprietaria del locale (Judith Anderson), è al
piano di sopra e si prepara all’appuntamento. La Anderson lo mette
in guardia dal tipo di donne con cui va in giro - le definisce “pasticcini
francesi” - ma il ragazzo la tranquillizza: «Non preoccuparti,
sorellina. Questa è diversa. Porta lo smoking». La Anderson
inarca le sopracciglia e sospira di sollievo: «Allora tu sei salvo».
Afferrando l’allusione, il fratello le dice che si sbaglia: quella
è solo una ragazza piena di voglia di divertirsi. Ma in seguito
nel film, la Shaw ricompare in doppiopetto, e questa volta non con il
fratello della Anderson, ma con un’altra donna al seguito.
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