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Aggiornato
Venerdì 12-Ott-2007
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Con un comunicato che segnala la nascita, in Rete, della sua rubrica Borderline, conosciamo Cinzia Ricci, lucchese, classe 1964. «È l’esigenza di dar voce al lesbismo sommerso, raccontare esistenze taciute, negate, impopolari, altrimenti destinate all’oblio. Esperienze talvolta durissime e toccanti di lesbiche che non possono mostrarsi, dire il proprio nome, che vivono nell’ombra rinunciando ogni giorno a quelli che dovrebbero essere dei diritti e che, invece, sono solo privilegi. Donne sole o isolate, vessate o pacificate, silenziosamente in guerra o arrese, che non vanno in Tv, non si fanno fotografare, non sono intervistate dai grandi media, che vivono il loro lesbismo nella solitudine, con scelte pagate a prezzi carissimi. Vi è una tale dignità in loro e nelle loro vite. Vorrei vivere in una società più giusta, che abbia per tutti i suoi membri rispetto, non cada nella tentazione di giudicare, non dia tanta importanza all’apparenza, agli orpelli, non utilizzi l’ignoranza, i preconcetti e i dogmi come collante per rimanere coesa, affermarsi. Attraverso Borderline vorrei dimostrare agli omofobi e a chi discrimina (anche fra gli omosessuali e le lesbiche) che non è lo status sociale che rende migliori, meritori, che la vita - quella ai margini, irrisa, deprecata - sbugiarda e vince le imposizioni culturali e morali, alla fine nobilita e giustifica anche la loro». Una foto la ritrae bambina tra i banchi di scuola. Ci clicchiamo su e, inaspettatamente, visualizziamo Cinzia com’è ora, in un’immagine che è un’altra creazione grafica, come tante altre che ritroviamo nel suo sito personale (www.cinziaricci.it). Una foto per ogni storia, per ogni sensazione che la testimonianza evoca. Con autografo dell’autrice, naturalmente, che rivendica la maternità dei testi invitando i visitatori a «citare la fonte per la riproduzione integrale o parziale del materiale pubblicato». Internet è così. Senza regole, ci si affida al buonsenso, alla netiquette. E Cinzia lo sa: finalmente, è nata online. Ci porta con mano nel suo mondo che è essenzialmente arte tra pittura, fotografia, scritti, poesie, tempo libero, vita. Ci da l’opportunità di scoprire il suo passato... «Ero una bambina molto riflessiva, schiva, silenziosa, vergognosa, timorosa... Passavo le notti sveglia per poter intervenire nel caso mio padre picchiasse mia madre. Ovviamente il giorno dopo non ero molto reattiva, attenta, arrivavo sempre ultima in tutto, non riuscivo a memorizzare, ad appassionarmi. Ma avevo ben altri problemi che azzuffarmi per primeggiare, e invece la maestra ci metteva continuamente in competizione gli uni contro gli altri. Aveva una predilezione particolare per i figli delle media borghesia, li trattava con indulgenza, quasi reverenza, mentre ai “disgraziati”, specie le bambine, riservava reprimende penose, umiliazioni d’ogni tipo, punizioni esemplari. Avevo una compagna di banco davvero speciale: mi trattava con dolcezza, non ne avevo paura, la guardavo giocare e m’incantavo ad ascoltarne i racconti, mi perdevo nei suoi impenetrabili silenzi, ma non studiava, ne le interessava quello che le accadeva intorno. Non era matta, aveva soltanto una situazione familiare terribile, voleva solo essere lasciata in pace. La maestra si accanì contro di lei e tanto fece che convinse i suoi genitori a mandarla in una scuola per bambini “difettati”. Poi toccò a me, ma le minacce di mio padre la indussero a non insistere. Da allora non passò giorno senza che dimostrasse a me, ai miei compagni e alla mia famiglia quanto ero stupida, inadeguata: riempiva la mia pagella di voti improbabili (i due e i tre cominciarono a diventare un’abitudine), il diario di note pretendendo che fosse mio padre a firmarle e, siccome ero assente spessissimo, al mio rientro amava interrogarmi sulle lezioni che avevo saltato. Dopo avermi procurato un bel blocco emotivo ed espressivo schernendomi ferocemente di fronte alla classe perché, pur essendo secondo lei pressoché analfabeta, ero evidentemente tanto presuntuosa da pensare di poter scrivere poesie, all’esame di quinta mi diede il colpo di grazia rimandandomi a settembre. Presi tante di quelle botte per tutto questo... Che ironia, alle medie ebbi come insegnante di francese e latino una professoressa che le somigliava anche fisicamente... fu un incubo! Le persecuzioni proseguirono e il rendimento non migliorò, tuttavia emersero le mie doti “artistiche” e grazie a queste per la prima volta mi guadagnai un minimo di rispetto, considerazione. La sai una cosa? Ero onnivora, curiosa, m’interessava tutto e tutto volevo imparare, conoscere, scoprire, ma a casa avevo tanti di quei problemi, non riuscivo a concentrarmi, non avevo né il tempo né la serenità per poter vivere come gli altri, occuparmi di me e della scuola. Aspettavo di diventare grande per potermi finalmente appropriare della mia vita, proseguire gli studi e affrancarmi, recuperare il tempo perduto, ma a quattordici anni mi ritrovai sulle spalle tutta la famiglia e dovetti immediatamente cominciare a lavorare per sopravvivere, non morire di fame, e ti garantisco che non sto affatto esagerando... Le vicende familiari mi obbligarono ad interrompere gli studi.» Ma ciò non le impedì di farsi un solido bagaglio culturale, professionale ed umano. La sua voce è molto dolce e sembra contrastare l’immagine di donna sicura, decisa, che sa quello che vuole e non accetta compromessi, la Ricci stile "Borderline" insomma. Le chiedo di parlarmi del suo lavoro, delle sue passioni e di quanto l’amore riempie la sua vita. «Costantemente, incrollabilmente presente. Amore per l’umanità, in primo luogo, per il valore straordinario dell’esistenza, di ogni singola persona, anche la meno condivisibile. E poi l’amore per la mia compagna che ha sedici anni meno di me e mi sta dimostrando che si può amare con generosità, senza proiettare sull’altro i propri deliri, senza aspettative o chiedergli di cambiare per compiacerci. L’amore che va al di là dei generi, dell’età, dell’aspetto fisico, della condizione sociale - amore fra due persone, un incontro fra anime che, seppur tanto differenti (o forse proprio per questo), guardano una all’altra come ad una ricchezza, non ad una limitazione o ad una affermazione/imposizione di sé. Quando gli esseri umani avranno finalmente imparato a non essere ostaggio dei propri ormoni, quando il sesso non sarà più in cima ai loro pensieri e alle loro preoccupazioni, quando la smetteranno di utilizzarlo per affermare/imporre se stessi, i loro preconcetti, le cose a poco a poco non potranno che andar meglio. Insomma, mi piacerebbe vivere in un mondo che non mettesse al centro biologia e sessualità, nel quale le persone non fossero costrette a modificarsi fisicamente per affermare la loro identità, dove non fossero definite e giudicate per il loro orientamento sessuale o sentimentale, dove finalmente si potesse essere quel che ci pare, con chi ci va, finalmente liberi da condizionamenti politici, religiosi, culturali. L’omosessualità esiste semplicemente perché diamo così tanta importanza al sesso e ai generi... questo è veramente molto stupido. L’omosessualità è, dunque, un falso problema.» L’esperienza personale diventa così una testimonianza di visibilità e coraggio che invita le donne a riconoscersi persone libere. L’auspicio, carissime, forse è questo: che le lesbiche non perdano l’occasione di guardare oltre il burqa che indossano ogni giorno... «Sì, un po’ di coraggio ci vuole perché il mondo non è tenero con chi non si adegua: il rischio è l’isolamento, una lenta morte civile. La regola è il silenzio o un gran chiacchiericcio riempito di luoghi comuni. Fingere, è questo che insegnano! Ma non è così che si costruisce una società migliore. Non così si formano cittadini più consapevoli e responsabili ma forse è proprio questo che si vuole evitare... Non è nascondendosi o sostenendo chi promuove le politiche discriminatorie tout court che si ottiene il diritto all’esistenza, ad una vita relativamente e illusoriamente tranquilla. Gli italiani hanno una gran fantasia e, per definire la sciocca abitudine di mostrarsi e chiedere il riconoscimento di pari diritti e opportunità, hanno coniato un termine nuovo che la dice lunga sul pensiero maggioritario: omostentazione. Orribile ed eloquente. Ecco cosa ci è chiesto: di rimanere nell’ombra, silenziosi, passivi, persino grati perché, in fondo, nessuno vuole eliminarci fisicamente. La comunità GLBTT è degna di considerazione e rispetto solo quando si tratta di approfittarne a fini elettorali, commerciali, culturali, esattoriali. Solo un popolo di scimuniti può accettare strumentalizzazioni tanto gravi.» Cinzia è serena ora, ama ed è amata. Le cito una frase di Sergio Bambarén: «In genere ci viene detto che nella vita abbiamo una scelta tra due sole strade: lottare con tutte le nostre forze per arrivare in cima e avere successo, o riunirci all’esercito dei “nessuno”. Invece esiste una terza via, amico, puoi farti da parte e cominciare ad essere la persona che vuoi essere». Tre secondi di silenzio, poi: «No, non occorre farsi da parte, anzi... e più che diventare chi vorremmo, dobbiamo imparare ad essere chi siamo. Ma lo so, questa è per la maggior parte delle persone la cosa più difficile, in assoluto». |