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Aggiornato Venerdì 12-Ott-2007

Una storia fatta di battaglie politiche, laboratori, incontri, libri, feste, convegni, trasmissioni radiofoniche e moltissimi siti. Una vera galassia

Articolo di Elena Marsi da “Diario del mese – Il secolo Gay”, numero del 6 Gennaio 2006

 

Vogliono amarsi, conoscersi farsi conoscere, essere «previste». Nell'ltalia a marcia indietro del 2005 il coro delle donne lesbiche dice unito «lo esisto». Ricostruirne le singole voci è facile: ogni associazione o singola donna intervistata fornisce volentieri numeri di telefono ed e-mail di altre realtà lesbiche, anche se la pensano in maniera diversa. Difficile comprenderle tutte: la ricchezza del pensiero e delle esperienze del movimento lesbico è un labirinto di battaglie politiche, laboratori, incontri, libri, feste, convegni. E poi c'è la più generica comunità delle donne che amano altre donne, quelle che non per forza si appassionano alla politica.

Come le centinaia di ragazze che affollano le one night lesbochic milanesi organizzate dalle pierre Kick Off, o quelle che preferiscono godersi una serata davanti a “The L word”, patinato telefilm in onda su La7. Un tormentone della serie è il «grafico di Alice»: un gioco che permette alla protagonista di ricollegarsi, in sole sei mosse, a qualsiasi altra donna, ricostruendo all'indietro la sequenza delle sue storie d'amore e flirt (se X è stata con y che poi è stata con Z, X in due mosse è collegata a Z). «Per divertirci lo facciamo anche noi», dice Katia Acquafredda, una delle fondatrici di www.listalesbica.it, community da dieci anni online, che accoglie quasi 800 iscritte.

«Il nostro è un gruppo con relazioni improntate alla solidarietà»: al di là di feste e telefilm, in un Paese dove è difficile baciare in pizzeria la propria fidanzata, internet gioca un ruolo importante per creare relazioni reali e virtuali ma anche percorsi politici.

Così, navigando, ci si imbatte in siti storici ed elaborati nel tempo, come www.ellexelle.it, creato da Nerina Milletti già nel 1997, o nel sito omonimo di Cinzia Ricci, cresciuto invece con l'urgenza di denunciare la vicenda giudiziaria legata allo stupro della sua compagna e archiviare gli episodi di violenza subiti dagli omosessuali in Italia. È importante mettersi in rete con altre donne, dicono tutte. Essere e dirsi lesbica in Italia non è facile, come emerge da un'inchiesta svolta sul territorio nazionale dal Gruppo soggettività lesbica di Milano e riassunta nel libro “Cocktail d'amore” (DeriveApprodi). Soltanto la metà delle 700 lesbiche intervistate si definisce tale, «preferendo talora un termine neutro, come omosessuale, che sa un po' di razionalismo». «Lesbica»: questa parola si usa, ma tante persone lo fanno abbassando il tono di voce.

«Nessun omosessuale passa indenne nella propria storia», spiega la psicoterapeuta Daniela Ciriello, che nel 1994 fondò a Milano la prima Linea lesbica (02/63118654, giovedì 19-21), uno spazio «di ascolto, riconoscimento, accettazione e sostegno», dedicato in gran parte a donne che stanno scoprendo la propria omosessualità. Sotto l'egida di ArciLesbica, le linee sono oggi attive in undici città (l'ultima è partita nel settembre scorso a Roma, 06/4180211, lunedì 19-21). «Il nostro grande lavoro è spronare le utenti a farsi coinvolgere in situazioni aggregative, come la presentazione di un libro», spiega Ciriello. «Se c'è bisogno, le indirizziamo anche a medici o legali. Ma creare una rete di professionisti preparati non è semplice. L'università e le scuole di specializzazione non ti preparano ad affrontare certi temi». Anche notai e giudici non sono sempre pronti a trattarli.

Maria Silvia, mamma lesbica dei Genitori Arcobaleno, per ovviare a un vuoto legislativo che non riconosce la sua famiglia composta da una coppia di genitrici lesbiche e un figlio, si è rivolta a un avvocato di fiducia, con cui è in confidenza: «La legge riconosce la mamma singola. Nella nostra situazione, in caso di morte della madre biologica, la legge vede in mio figlio un orfano, con il rischio che non gli sia più permesso di vedere la sua co-mamma. E se muore la co-mamma, c'è il problema dell'eredità dei suoi beni. Di fronte a un divorzio o a un lutto, insomma, non è garantita né la continuità affettiva né quella economica. Ne risulta che, non volendo la legge ri conoscere certe situazioni, i meno tutelati sono proprio i bambini».

Non a caso, un premio a tesi di laurea e a dottorati di ricerca a tematica omosessuale è una delle iniziative più originali del Digayproject di Imma Battaglia, nome tra i più conosciuti anche agli «etero» grazie all'organizzazione quasi eroica del World Pride dell'anno del Giubileo. Sito web aggiornato, occasioni di incontro come il Gay Village di Roma, una rassegna estiva che ha il merito di richiamare centinaia di persone: il Digayproject è un esempio riuscito di ricerca di visibilità e di comunicazione di contenuti. «Dillo in modo che ti conoscano» è il motto di Imma Battaglia. E i modi per dirlo sono tanti. All'interno del movimento, con una forzatura semplificatoria, si può distinguere un'ala riformista da un'area più radicale.

La disputa tra queste due anime della politica lesbica si gioca soprattutto intorno all'importanza strategica dei Pacs (Patti civili di solidarietà), i contratti civili per riconoscere i diritti delle coppie di fatto - anche di persone dello stesso sesso - contenuti nella proposta di legge, ora all'esame della Commissione parlamentare di giustizia, firmata da Franco Grillini, deputato Ds e presidente onorario Arcigay. «Pacs» è stata, tra le polemiche, la parola d'ordine del Pride 2005, organizzato a Milano e lo sarà il 14 gennaio a Roma. Per i i Pacs combatte a testa bassa ArciLesbica - con diecimila tesserate e diciotto circoli, la realtà più organizzata nel Paese - cui una parte del movimento, pur appoggiando la battaglia, rivolge la critica di appiattirsi su una tematica troppo limitata.

Spiega Francesca Polo, presidente dell'associazione: «Se uno dei componenti della coppia di fatto si ammala, va in carcere o muore, il suo compagno o la sua compagna non hanno alcuna garanzia o certezza di poter prestare le proprie cure, di poter subentrare nel contratto di affitto o di ereditare i suoi beni (magari acquistati insieme). I Pacs possono ovviare questa lacuna: possono offrire una prima garanzia minima alle coppie dello stesso sesso, che oggi ne sono totalmente sprovviste. Evidentemente non si tratta di un istituto volto a perseguire o realizzare la parità di diritti per i cittadini omosessuali. Evidentemente no. L'effettiva parità eventualmente dovrà essere concretizzata con ben altri strumenti culturali e legislativi. Ma è diffusa la mentalità, nel movimento, che se combatti per un diritto, automaticamente svaluti il resto. Il movimento Lgt ha una piattaforma di rivendicazioni molto ampia che anche noi sottoscriviamo».

Il primo passo sono i Pacs, dunque, ma resta fisso l'obiettivo di «una legge che condanni ogni discriminazione motivata da orientamento sessuale e identità di genere e che rimuova gli ostacoli di natura sociale e normativa che limitano l'effettiva uguaglianza delle persone omosessuali e transessuali». A nome del movimento intero, la piattaforma, comprende, tra l'altro: un'efficace prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale; un'effettiva disponibilità delle terapie necessarie alle persone transessuali e transgender; una legge sulla «piccola soluzione» al cambiamento di sesso (che consenta cioè la modificazione dei dati anagrafici a prescindere dagli interventi chirurgici ricostruttivi); la modifica della legge 40 e l'accesso alla procreazione medicalmente assistita per le donne maggiorenni, indipendentemente se singole o in coppia. Sottoscritta dall'Unione - fatta eccezione per clemente Mastella - alla voce Pacs (ma con la dicitura «unioni civili»), la piattaforma è stata approvata in toto soltanto da Fausto Bertinotti.

E qui la velata accusa che serpeggia nel movimento lesbico, quella di stringersi troppo sotto l'ombrello dei partiti con un pacchetto di voti in mano: «Se vuoi avere influenza sul mondo devi dialogare con i partiti», dice Francesca Polo. «Alle primarie del centro sinistra ArciLesbica ha invitato tutti ad andare a votare, senza dare indicazioni di voto. Ma molti circoli, a livello locale, sì». E, ultima spina: scelta la strada dell'autonomia da Arcigay nel 1996, le donne di ArciLesbica hanno da confrontarsi anche con quelle lesbiche che hanno scelto di organizzarsi con gli uomini all'interno dell'Arcigay stesso, che tra l'altro si autodefinisce «associazione gay e lesbica italiana».

Spiega Lorenza Tizzi, neoresponsabile Pari opportunità della segreteria nazionale Arcigay: «Con immenso rispetto delle altre posizioni, a noi piace sperimentare all'interno della nostra organizzazione quella convivenza civile che poi promuoviamo e rivendichiamo anche all'esterno». Le fila si serrano, però, nella battaglia pragmatica per i Pacs.

Ma non c'è pace, intorno ai Pacs. «Il fatto di essere coppia non può darti diritti in più», rivendicano in sostanza molte associazioni lesbiche, che, sulla scia della pratica femminista dell'autocoscienza, intendono l'azione politica prima di tutto come incontro, relazione, confronto di esperienze personali. «Dalla nostra indagine sulle donne lesbiche emerge un grande desiderio di normalità, un desiderio di essere assimilate a istituzioni come la famiglia: dietro, noi intravediamo un immaginario arcaico. Mi dà tristezza che le ragazze giovani vogliano la coppia chiusa. E chi non è in coppia? Chi è solo, chi ha due o più partner?», dice Anita Sonego del Gruppo soggettività lesbica, nato a Milano nel 1996 in seno alla Libera università delle donne.

«La sacralità della famiglia non la vogliamo. Chiedere di essere come gli altri mi fa rabbia. La politica dei due tempi è sbagliata. Bisogna mettere l'individuo al centro delle battaglie». Il gruppo promuove incontri, che presenta così: «Ogni cambiamento, se non è accompagnato da una modifica profonda della cultura di una società, resta solo di facciata: è proprio dalla cultura e dall'immaginario che sentiamo l'esigenza di ripartire, indagando le implicazioni che l'appartenenza a un genere e/o la scelta sessuale determinano sul piano simbolico. Noi quest'anno ci incontreremo quindi per leggere insieme testi narrativi e teorici (autrici come Delia Vaccarello, Teresa De Lauretis, Leslie Feinberg), ovviamente sempre con il metodo del partire da noi e dall'irriducibilità delle nostre singolari esperienze».

Impostazione condivisa dalle donne del gruppo Desiderandae di Bari: «Invece che appiattirsi sul Pacs, che ripropone lo schema familiare patriarcale, perché non battersi per salvaguardare diritti individuali per tutti i cittadini? Sposarmi con la mia compagna non deve essere un privilegio, il diritto non è un privilegio. Ci stiamo interrogando, ed è arduo, su come lo Stato possa garantire questi diritti». E guardano con attenzione alle ricerche di intellettuali lesbiche come Rosanna Fiocchetto o Simonetta Spinelli. «Stiamo elaborando una struttura societaria fondata sulla "lesbosocialità", cioè forme di relazione diverse dalla famiglia, più rispettose del nostro stile di vita. Pensiamo a un progetto di "lesbizio", per preparare il nostro futuro e non lasciare noi stesse, a 70 anni, nelle mani di una famiglia eterosessuale».

Le Desiderandae hanno fatto una scelta separatista: «Sperimentiamo altre forme di socialità in una masseria nella campagna barese. È un luogo lesbico, dove possono passare le vacanze soltanto donne. C'è chi ci accusa di creare dei ghetti. Non è così. Se diciamo no a un uomo è perché sappiamo che quello è uno spazio di libertà, quel luogo è importante per costruire la nostra identità». Nella rete, un punto di riferimento per le lesbiche separatiste è il sito www.fuoricampo.net. Alla radio, invece, il martedì, alle 21, sugli 87.900 Mhz di Radio Onda rossa, si avvicendano in uno spazio autogestito le conduttrici del Coordinamento lesbiche romane (www.clrbp.it), gruppo nato dentro la Casa internazionale della donna.

«La famiglia è il luogo della massima oppressione delle donne e dei bambini» sostiene Lucilla Ciambotti. «Del resto basta guardare l'etimologia della parola, che deriva da famulus, l'insieme degli schiavi della gens romana. La piccola comunità lesbica invece è formata da amanti, ex amanti, compagne, amiche. Io non mi voglio omologare». Altro appuntamento importante, organizzato da un gruppo riconducibile al filone lesbico e femminista, è il Festival di cinema Immaginaria, promosso dal gruppo bolognese Visibilia. «Come gruppo esistevamo già nei primi anni Ottanta. Nel 1989 siamo state la prima associazione che ha inserito la parola "lesbica" nel proprio statuto. Eravamo abituate a stare nel "sottosuolo", a riunirci in casa. Cominciammo a fare feste pubbliche per sole donne in un periodo in cui nessuno puntava una cicca su di loro. Ci preoccupavamo di racimolare denaro per creare realtà culturali dignitose. Fu un successo strepitoso. Nel filone femminista, anche noi favoriamo un lavoro con un'impronta culturale e aggregativa. Ritengo i Pacs necessari, ma offensivi».

E le declinazioni del verbo «esistere» non si esauriscono qui, anzi. Dal sito www.facciamobreccia.org spicca in rosa-viola un motto che intende agitare parecchio le acque: «Indietro non si torna. Meno Vaticano. Più autodeterminazione». Nato quest'autunno da una mail della transessuale Porpora Marcasciano, «Facciamo breccia è un comitato, è un'assemblea, è un movimento spontaneo e trasversale. Siamo cittadini e cittadine, gruppi, associazioni che, riprendendo nel nome il gesto che sancì l'autonomia dello Stato italiano dalla Chiesa, riaffermano una cultura laica, valorizzano tutti i percorsi di autodeterminazione e costruiscono un percorso di mobilitazione». Appuntamento nelle strade di Roma l'11 febbraio 2006, «per riportare le questioni della sessualità e dell'autodeterminazione nel dibattito pubblico italiano». Seguono le firme di un variegato universo di identità. Aderiscono molte realtà lesbiche contrarie alla priorità dei Pacs, come Pianeta viola di Brescia, un gruppo con una forte componente di ragazze fra i venti e i trent'anni. Sottoscrive anche il Circolo Maurice di Torino, che per il Pride 2006, che si svolgerà in quella città, sta approntando iniziative distribuite lungo tutto l'anno, a partire dal Giorno della memoria, dotando il movimento di una mailing list dedicata. Firma anche il Circolo Mario Mieli di Roma, storica associazione romana, soprattutto gay, con una tradizione di lesbiche nel direttivo. Ma anche il gruppo Sconvegno di Milano, formato da giovani femministe e una ragazza lesbica. E ancora, realtà lesbiche antagoniste, come Azione Gay e Lesbica di Firenze, circolo coinvolto nell'organizzazione del Social Forum europeo del 2002, o il Circolo Pink di Verona, che è «aperto a tutte le differenze marginali, a stranieri, a rom, ma anche agli eterosessuali», come spiega il gay Ermanno Marogna, che, a dimostrazione dello spirito antiseparatista del gruppo, parla anche a nome delle donne lesbiche del circolo. E ad animare Facciamo breccia ci sono anche alcune realtà queer, come Sexy shock.

L’anno scorso, a Bologna può essere capitato di incrociare esponenti del gruppo, mentre infiocchettavano gli autobus con lunghi nastri rosa per protestare contro la legge 40: una tipica Action pink, azione di disturbo rosa. «Siamo un laboratorio di comunicazione aperto alle donne e uno spazio pubblico di discussione e di elaborazione», spiega Betty, nome scelto dal collettivo per comunicare il pensiero del gruppo. «Siamo molto vicine alle riflessioni queer legate al deturnamento delle identità di genere». Deturnamento? «Vuol dire che l'identità di genere, maschio e femmina, non è data, ma è discorsiva. La puoi cambiare, e costruirti un'idea che scegli tu. In questo modo si arriva ad alcune riflessioni sulla libertà delle donne. Sul loro accesso à determinate tecniche, saperi, immaginari. La pratica del deturnamento è cominciata con la creazione di un sexy shop e con le Azioni rosa, campagne in difesa della 194, per la procreazione medicalmente assistita, contro la violenza sulle donne». A queste avanguardie culturali il movimento lesbico guarda con curiosità e interesse. «Alla subcultura transgender dedichiamo venti minuti della nostra ora di trasmissione, lasciando agli ospiti uno spazio quasi autogestito», spiega Eleonora dall'Ovo, da otto anni ai microfoni de L'altro martedì, storico appuntamento della milanese Radio Popolare. L’«illusionismo del genere» rappresentato dalle persone transessuali, siano M2F o F2M, agita il panorama della cultura glb.

Spiega AC/d*She, performer queer milanese: «La comunità gay è un target per i pubblicitari. Basti pensare a Dolce&Gabbana o all'ultima campagna di Oliviero Toscani, a come gestiscono un tipo di linguaggio. Anche le one night commerciali sono squallide. Vai, balli per disperazione, ma non ti diverti. Ed è un segnale di cortocircuito anche il concerto di Spagna al Borgo Perduto organizzato per il Pride di Milano: non mi sposta. Sembra una sagra di paese».

AC/d*She parla di contenuti e di estetica. Spiega che un messaggio di libertà passa attraverso linguaggi sperimentali, la diffusione di musica elettronica di qualità, fanzine come Clit Rocket, feste autoprodotte in spazi dedicati (spesso dentro a un centro sociale), o festival di editoria indipendente. L’asterisco che si legge in fondo a tante parole, come «individu*:» compare così anche nel programma del Congresso nazionale di ArciLesbica, che si confronta con Liana Borghi, figura di spicco del panorama intellettuale lesbico, tra le fondatrici del centro studi Gltq di Firenze.

«Ma è difficile far confluire pubblico lesbico alle serate», ammette AC/d*She. E più difficile è definire il queer: cos'è? «Il quinto sesso!», risponde ridendo. «Credo proprio negli spiriti e negli animi, in qualsiasi corpo finiscano». Voci del verbo esistere.

 

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